
Tra lo stile dei grandi maestri del rinascimento e l’avvio della maniera moderna sta in particolar modo Andrea del Sarto (1486-1530), definito dal Vasari il “pittore senza errori“. Il vero nome di questo pittore fiorentino era Andrea d’Agnolo di Francesco Lanfranchi e il soprannome “del Sarto” deriva dalla professione del padre. La sua pittura non è particolarmente originale o innovativa, ma osservando con attenzione le sue opere, i suoi ritratti, si possono riconoscere infiniti rimandi ad altri maestri. Senza mai ricorrere alla copia, ma anzi cogliendo con grande sensibilità l’essenza dello stile dei suoi predecessori. Guardando con calma i suoi ritratti, si sentono affiorare i ricordi di Perugino, di Raffaello, di Leonardo e di Michelangelo.
Nello stesso tempo ci si trova già sulla strada che verrà percorsa dai manieristi.
Andrea nacque il 16 luglio del 1486 dal sarto Agnolo di Francesco e da Costanza di Silvestro, a Firenze in via Valfonda, nel quartiere di Santa Maria Novella.
All’età di sette anni, secondo il Vasari, andò a fare l’apprendista nella bottega d’un orafo, dove manifestò subito la sua inclinazione al disegno. È però nella bottega di Piero di Cosimo che l’artista continuò il tirocinio, formando definitivamente la sua personalità. Intanto, al pari degli altri artisti fiorentini, poté avvalersi per la sua formazione di un momento particolarmente felice per la città di Firenze. Un periodo in cui le arti furono largamente sostenute dai potenti della città. I Medici prima di tutti.

I maestri di Andrea del Sarto
Andrea in quel periodo passò molte ore a copiare e studiare i cartoni di Michelangelo e di Leonardo per le Battaglie da affrescare nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Il suo stile equilibrato e pieno di grazia fu inoltre molto influenzato da Raffaello che in quegli anni si trovò a soggiornare a Firenze. Tra i coetanei colleghi che vissero in quel clima fervido d’idee Andrea si ritrovò in particolar modo con Francesco di Cristofano, detto il Franciabigio. Con lui strinse un’amicizia che durò qualche anno, e insieme presero una stanza in piazza del Grano. Intanto l’artista, come tutti i pittori dell’epoca, si iscrisse all’Arte dei medici e degli speziali. Nel 1518 Andrea sposò Lucrezia del Fede, la giovane vedova di cui l’artista s’era così invaghito da farla diventare il modello ossessivamente privilegiato per quasi tutte le figure femminili raffigurate nei quadri di soggetto sacro.
Vasari arrivò a descriverlo addirittura come debole e indifeso perché succube della moglie. Pensate che nel XX secolo vari studiosi cercarono di creare un legame tra questo ipotetico carattere debole e il suo stile, caratterizzato da una presunta mancanza di vigore. Ma tutto questo approccio è privo di fondamento dato che, come spesso capita, il resoconto che il Vasari ci ha lasciato è del tutto inaffidabile. Ad ogni modo Andrea proprio nell’anno del matrimonio si recò al servizio del re di Francia Francesco I. Ma quello al castello di Fontainebleau fu un breve soggiorno che terminò già nel 1519. Pare infatti che la moglie lo richiamasse in patria con una serie di lettere. Chiesta licenza al re, l’artista tornò a Firenze per restarci giusto il tempo necessario a sistemare qualche faccenda.
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In fuga dalla peste
L’artista inoltre promise di riportare con sé, oltre alla moglie, opere di gran valore per la collezione del sovrano francese. Andrea partì quindi alla volta di Firenze, ma da lì non si mosse mai più. Nel 1520 comprò del terreno per costruirsi una casa e avviare una felice vita coniugale. Nel 1523, per sfuggire alla peste, Andrea con la famiglia cercò riparo nel Mugello e venne ospitato dalle monache camaldolesi di San Piero a Luco. La badessa del monastero gli commissionò la pala per l’altare maggiore della chiesa, il bellissimo Compianto su Cristo morto. Alla metà del decennio l’artista dipinse, su commissione di Ottaviano de’ Medici, una copia del Triplo ritratto di Leone X e i Cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi di Raffaello, che fu inviata al posto dell’originale a Federico II duca di Mantova.

Nel 1525 l’artista firmò il celebre affresco della Madonna del Sacco in una lunetta del chiostro grande dell’Annunziata e poco dopo dipinse l’ultima storia allo Scalzo, con la Nascita del Battista. A quest’epoca risale la commissione da parte della famiglia Passerini per l’altra monumentale Assunta, destinata alla chiesa di Sant’Antonio dei Servi a Cortona, dipinta però un po’ più tardi. Nel biennio 1526-27 il pittore realizzò il grande affresco con l’Ultima Cena nel refettorio del convento vallombrosano di San Salvi. Tanto bello da giustificare la leggenda che vuole impietriti davanti all’opera gli uomini cui era stato affidato l’incarico di distruggere gli edifici fuori le mura perché non fossero di ricovero alle truppe nemiche. Rimasto il principale pittore a Firenze, dopo la partenza dei grandi maestri, per Andrea del Sarto si affacciarono molte commissioni.

Fu un eccellente decoratore ad affresco, ma dipinse anche splendide pale d’altare e notevoli ritratti. Allo stesso tempo è anche ricordato come uno dei più bravi disegnatori del rinascimento. Molto della sua arte ha anticipato gli esperimenti manieristi di Pontormo e Rosso Fiorentino, tra gli allievi più bravi di Andrea del Sarto. L’artista morì di peste il 29 settembre 1530. Nonostante il paragone con giganti del calibro di Raffaello e Michelangelo non gli abbia giovato, Andrea è comunque uno dei più grandi artisti del suo tempo. Se è vero che per grazia e monumentalità si avvicina molto allo stile di Raffaello, è altrettanto vero che la sua attenzione per il colore e per la resa atmosferica non ha eguali tra i pittori fiorentini dell’epoca. Per tutte queste ragioni vale la pena riscoprirlo.
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C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000