
Paolo Veronese, Giovan Battista Moroni e soprattutto Jacopo Tintoretto si sono frequentemente cimentati con il genere del ritratto, manifestando anche in questo specifico campo tre orientamenti differenti. Veronese e Tintoretto hanno svolto in realtà una carriera perfettamente complementare e parallela, rivolta verso ambiti di committenza e soggetti diversi, con qualche momento di compartecipazione, e senza motivi di attrito o di diretta competizione. Tintoretto plasma le figure con una massa di colore densa, con forti contrasti di luce ed ombra; Veronese fa scorrere il pennello in modo più fluido e leggero, sempre su toni di colore limpidi e luminosi.
Giovan Battista Moroni
Per la storia del ritratto nella terraferma veneta dopo il contributo di Lotto, Romanino, Moretto e Savoldo è la volta del bergamasco Giovan Battista Moroni (1520/24-1578), uno dei più grandi e schivi ritrattisti del Cinquecento.
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Creando così tra Bergamo e Brescia un laboratorio formidabile per la pittura del nord che preparerà l’esplosione di Caravaggio.
I committenti di Moroni appartengono ad un’agiata società provinciale, lontana dagli orizzonti di potere dei volti ritratti da Tiziano. Moroni entra in dialogo con persone di schietta e diretta umanità, di cui il pittore ci svela senza remore l’aspetto fisico e l’atteggiamento psicologico.

Di Tintoretto vi propongo il ritratto del procuratore Soranzo, potente capofamiglia di una delle casate più influenti di Venezia, in cui la ricchezza della materia pittorica è molto vicina al Tiziano di quegli anni. Di Veronese il ritratto di gentildonna, ricca rappresentante dello sfarzo veneto. Mentre di Moroni vi consiglio questo ritratto di sarto, che rappresenta l’ascesa della classe media, in questo caso, consapevole della propria dignità di artigiano di grande specializzazione. Segna una svolta per il ritratto che fino ad allora era stato appannaggio di una élite aristocratica, finanziaria.

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C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000