
Il ritratto e la sua storia sono costellati da artisti rivoluzionari. E lui lo è.
Perfetta incarnazione di artista rivoluzionario, Gustave Courbet (1819-1877) porta a compimento la tensione realistica e veritativa della pittura moderna.
Profondamente sospettoso nei confronti di ogni etichetta stilistica, il pittore sentì la necessità di chiarire la sua posizione poetica con queste parole:
… ho studiato, al di fuori di qualsiasi sistema e senza prevenzioni, l’arte degli antichi e quella dei moderni.
Non ho voluto imitare né gli uni né copiare gli altri; né ho studiato l’intenzione di raggiungere l’inutile meta dell’arte per l’arte. Ho voluto semplicemente attingere dalla perfetta conoscenza della tradizione il sentimento ragionato e indipendente della propria individualità.
Sapere per potere, questa fu sempre la mia idea.
Essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca, secondo il mio modo di vedere; essere non solo un pittore ma un uomo; in una parola fare dell’arte viva, questo è il mio scopo.
Gustave, uomo libero
Gustave si è sempre dichiarato libero. Lo ha detto in una delle frasi più famose della Storia dell’Arte: appartengo solo alla libertà.
La rivoluzione da lui introdotta nell’arte della pittura non si limitò a una scelta di temi tratti dalla vita quotidiana; egli vi aggiunse una tecnica nuova.
Erede del realismo di Géricault, non ne praticò la maniera focosa: il suo tocco, massiccio e solido, ricorda la fatica dell’operaio e conferisce alla sua pittura una presenza concreta.
Scambiò coi suoi contemporanei, che frequentò assiduamente (Corot, i pittori di Barbizon, Boudin, più tardi Manet, Jongkind e Whistler), le nozioni luministiche che aprirono la via all’impressionismo; ma in Francia il suo influsso si limitò a un rinnovamento della visione e delle fonti d’ispirazione. La sua arte energica non ebbe successori diretti in patria. L’opera che vi presento racchiude tutta la libertà di questo artista rivoluzionario: è un suo celebre e sorprendente autoritratto. Il meglio dei suoi primi anni
è proprio nei ritratti, effigi dei parenti e soprattutto autoritratti, la cui prestigiosa galleria scandì la sua carriera.
Uomo disperato-autoritratto
Gustave in questo dipinto ha venticinque anni e si guarda allo specchio. Vede un volto disperato e si dipinge così. Con ferocia autentica e con una punta di autoironia. Si mette le mani tra i capelli, sbarra gli occhi. Ha le guance rosse. Socchiude la bocca, mostra il collo, le vene e i tendini dei polsi da pittore e ci appare tutto scompigliato.
La libertà di Gustave esce fuori in ogni particolare di quest’opera: dalle ciocche scompigliate, alla bocca rossa, dai baffi e dalla barba che cresce disordinata sulle guance giovani, alle mani nervose dentro la camicia tutta sgualcita. È la rappresentazione di un giovane e bell’uomo, un’artista in pieno tumulto che sceglie volontariamente di ritrarsi fuori dalle pose consuete. E la disperazione sembra quella di chi non sa se sarà capace di guardare alla realtà ed essere in grado di fermarla sulla tela tenendo a bada tutto il caos creativo dentro di sé. Una disperazione creativa forse che tutti gli artisti ritrovano davanti ad una tela o a un foglio bianco.
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C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000