
L‘abbruttimento spirituale e materiale della Germania postbellica trova un sarcastico cantore nella figura di Otto Dix (1891-1969).
La devastante esperienza della guerra porta il pittore tedesco ad abbracciare i codici rappresentativi del realismo espressionista, caratterizzati da una crudezza di immagini e contenuti ancora sconosciuta all’avanguardia. L’opera che vi propongo è il ritratto della giornalista Sylvia von Harden. Trasfigurazione moderna del mito dell’androgino o rappresentazione ironica del più recente motivo freudiano del doppio, questa intellettuale emancipata completa la carrellata di figure femminili che abitano le tele di Dix.
Si tratta in effetti di una delle migliori opere di Otto Dix: il taglio corto, il monocolo e i lineamenti marcati richiamano al mondo maschile. La conseguenza dell’emancipazione della donna è la perdita di femminilità. Le labbra scure e gli occhi cerchiati le danno un’aria di stanchezza. Le mani sono grandi e scarne e assumono l’aspetto di artigli. Sotto il vestito a scacchi la calza abbassata introduce al tema della sessualità e della decadenza morale che all’epoca si respirava. La sigaretta è un ulteriore elemento di emancipazione. Sul tavolino abbiamo un cocktail, un pacchetto di fiammiferi e anche uno di sigarette: tutto riassume i vacui riti della Berlino alla moda.
I dipinti di Dix sono aperte proteste contro gli orrori della guerra, e spesso rappresentano lavoratori, mutilati e prostitute. In questo ritratto invece, egli cerca di racchiudere il fascino decadente della Germania della Repubblica di Weimar. Dix è quindi consapevole del mutamento dei tempi, e vuole che il soggetto divenga espressione di una società che si avvia alla modernizzazione.
Le immagini della donna e della morte si intrecciano infatti con il tema della metropoli e delle ossessioni che la devastano.
La sessualità femminile è esibita nel suo aspetto più degradante, ovvero quello della mercificazione del corpo. La società consumistica confonde l’erotismo con la ricerca maniacale dell’appagamento.
La donna è derubata della sua sensualità naturale, e l’artificio che essa sostituisce è svelato in tutta la sua agghiacciante meccanicità.
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C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000