
La poetica del ritratto in Vincent van Gogh (1853-1890) e Paul Gauguin (1848-1903) è indissolubilmente intrecciata con gli avvenimenti più importanti della loro vita, tanto da essere considerata come la necessaria esternazione di un vissuto esistenziale prima ancora di divenire l’espressione di una comune esigenza artistica.
La concentrazione dello sguardo di Van Gogh sulla fisionomia interiore degli uomini e sul loro dolore quotidiano si confonde, e progressivamente si identifica, con l’angoscia e il turbamento psichico caratteristici dei suoi ultimi anni di vita.

Nella poetica pittorica di Gauguin, la concezione del ritratto è strettamente connessa alla ricerca di una dimensione autenticamente primitiva della vita e dell’arte. Il trauma della perdita d’innocenza percettiva e culturale, causato dal prorompente dilagare della rivoluzione industriale e della conseguente urbanizzazione, e l’utopia della sua riconquista, conducono il pittore a intraprendere un viaggio di iniziazione artistica ed esistenziale attraverso universi geografici e culturali ancora inesplorati.
La belle Angele
Marie-Angélique Satre, albergatrice a Pont-Aven era ritenuta una delle donne più belle del paese.
La reazione della modella nei confronti del suo ritratto non è positiva e in fondo non ci deve sorprendere. Gauguin infrange le regole tradizionali della prospettiva e dell’unità spaziale. Utilizzando soluzioni tipiche delle stampe giapponesi, il pittore inserisce il busto di Angélique in un cerchio che si stacca dallo sfondo decorativo e ricorre alla divisione delle forme sottolineando il profilo delle figure con un tratto più scuro.
La posa rigida, l’abito della festa della giovane donna e la scritta in lettere maiuscole LA BELLE ANGELE aumentano l’aspetto solenne di questa rappresentazione. Sulla sinistra, Gauguin inserisce una ceramica antropomorfa, d’ispirazione peruviana, che rafforza il carattere simbolico della composizione che appare come una versione esotica dell’idolo bretone.
Degas acquistò la tela nel 1891.
Ritratto del dottor Paul Gachet
Figura inseparabile dell’ultimo periodo della vita di Vincent ad Auvers, il dottor Gachet era dotato di una personalità originale. Medico omeopata, si occupava anche di chiromanzia, ma la sua vera passione lo spingeva ad interessarsi anche al mondo delle arti. Gachet era lui stesso un buon incisore e intratteneva rapporti con un gran numero di artisti, trai quali Manet, Monet, Renoir e Cézanne.
Fu dunque naturale per Van Gogh, subito dopo essere stato dimesso dall’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence, recarsi dal dottore su consiglio di suo fratello Théo. Specializzato in psichiatria, il medico in effetti fece del proprio meglio per aiutare Vincent a sconfiggere le proprie angosce.
Il ritratto del dottore rientra quindi in questa fase creativa particolarmente intensa. Gachet è caratterizzato da un atteggiamento malinconico, che riflette anche “l’espressione sconsolata dei nostri tempi”, come scriverà Van Gogh. Il solo elemento di speranza in questo ritratto è il fiore di digitale che, per le sue virtù curative, assicura un po’ di conforto e di serenità.
Malgrado la sua abnegazione ed il suo attaccamento nei confronti dell’artista, il dottor Gachet non potrà fare nulla per impedire il gesto irreparabile di Van Gogh che, di lì a poco, si sarebbe tolto la vita.
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Vincent e Theo
Paesaggi: notte stellata
Paesaggio tahitiano con montagna
Paul Gauguin
C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000