
Edvard Munch nacque il 12 dicembre 1863 a Löten, in Norvegia. Figlio di un medico il cui studio si trovava in un quartiere operaio di Christiania (oggi Oslo). Durante l’adolescenza venne profondamente segnato dalla perdita della madre e di una sorella. Nel ’79 entrò nella Scuola di arti e mestieri, ma poco dopo decise di dedicarsi alla pittura e nel 1882 allestì uno studio nel Pultosten. In questo edificio situato nel centro di Christiania il pittore naturalista Christian Krohn avviava i giovani artisti. Si ispirava a un realismo animato da influssi impressionisti, puntualmente riscontrabili nei quadri d’esordio di Munch.
Nel 1885, durante il primo soggiorno a Parigi, l’artista si avvicinò alle tendenze più aggiornate dell’arte contemporanea. Diede spazio a una forte carica espressiva e a temi come quelli della malattia, della solitudine, della morte che ricorrono lungo tutto l’arco della sua produzione. Grazie a una borsa di studio, tra il 1889 ed il 1892 si stabilì nella capitale francese. A Parigi entrò in contatto con l’opera di Gauguin, adottò una tavolozza impressionista e si dedicò al tema del paesaggio.

Al ritorno a Oslo una sua personale venne accolta con molto successo e gli valse l’invito a esporre al Künstlerverein di Berlino, dove presentò una cinquantina di nuovi dipinti. La contrapposizione di campiture monocrome e la sintesi lineare sono gli strumenti linguistici che egli adottò per esprimere una visione profondamente pessimista dell’esistenza. Questa visione andò radicalizzandosi durante il soggiorno berlinese, in seguito all’incontro con Strindberg e alla lettura di Nietzsche.
Prese forma in quegli anni il progetto che impegnò Munch per un decennio. La realizzazione del Fregio della vita, vasto ciclo di opere attraverso le quali egli intense rappresentare la crescita interiore dell’individuo. Ma anche il conflitto insuperabile che oppone il principio maschile a quello femminile. A partire dal ’94 l’ammirazione per l’opera di Klinger, di Rops e di Vallotton lo spinse a sperimentare l’acquaforte, la puntasecca, la litografia e, sulle orme di Gauguin, la xilografia in bianco e nero e a colori. La pratica dell’incisione accentuò la tendenza al sintetismo già presente nella sua pittura, come documentano le tavole che riprendono le soluzioni iconografiche e compositive dei dipinti.
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Il profondo disagio esistenziale che colpì Munch nei primi anni del secolo trapela nelle sue opere di quegli anni, ambientate in spazi chiusi. Disagio che sfociò nel 1908 con un crollo psichico che lo costrinse alla degenza in una casa di cura danese e successivamente al ritorno in patria.

Nel 1909, nonostante forti opposizioni, si aggiudicò il concorso per la decorazione dell’Aula Magna dell’Università di Oslo. Lavorò fino al 1916 per realizzare un ciclo di affreschi insieme simbolici e naturalistici, la cui impronta realistica si ripresenta in opere di soggetto umanitario.
Nel 1916 si stabilì definitivamente ad Ekely, quartiere residenziale di Oslo e nei decenni successivi continuò a dedicarsi alla pittura. Realizzò numerosi paesaggi e fissò la propria immagine in una serie di autoritratti che documentano fino all’ultimo con obiettività, e spesso al di fuori di ogni controllo formale e compositivo, l’avanzare della decadenza fisica e l’accentuarsi della solitudine.
Morì a Oslo il 23 gennaio 1944.
Fu senz’altro il pittore che più di ogni altro anticipò l’espressionismo, soprattutto in ambito tedesco e nord-europeo. L’intensità con cui ha saputo trasmetterci l’angoscia emotiva ha aperto nuovi cammini all’arte. Lui stesso dichiarò: “Come Leonardo da Vinci ha studiato l’anatomia e ha sezionato i corpi, io ho tentato di sezionare l’anima”.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui