Giuseppe Pellizza nasce nel 1868 a Volpedo, cittadina in provincia di Alessandria, da una famiglia di benestanti agricoltori, che gli permette una prima formazione alla scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia, e una più specifica presso l’accademia di belle arti di Brera. Il suo animo inquieto e perennemente scontento si manifesta già negli anni dello studio. Abbandona scuole, accademie e città diverse, sempre alla ricerca di una novità pittorica che non trovava negli atelier accademici. Frequenta quindi Milano, Bergamo, Roma, Genova e Firenze, in quest’ultima sarà allievo di Giovanni Fattori. La pace negli anni della formazione arriva solo con l’apprendistato presso il pittore Giovanni Segantini, da cui conosce e sviluppa la tecnica divisionista.
Non è la verità vera che io debbo rappresentare nel quadro bensì la verità ideale
G. Pellizza da Volpedo
Il divisionismo è una tendenza artistica nata in Italia negli anni tra il 1888 e il 1915, che conobbe grande diffusione grazie alla triennale di Brera del 1891. Non fu mai un vero e proprio movimento in quanto mancante di un manifesto condiviso, tuttavia Gaetano Previati ne codificò alcune caratteristiche principali. L’intento era quello di scomporre il colore sulla tela, da tradizione invece mescolato sulla tavolozza, ottenendo un accostamento metodico di tinte complementari, invece di una pennellata cromaticamente uniforme. Deriva per intenti dal puntinismo francese, ma è netta la differenza nell’uso di tratti filamentosi e lunghi, contrariamente alle studiate punte di colore degli artisti transalpini. Prima Segantini e poi Pellizza da Volpedo furono grandi interpreti di questa tendenza, riuscendo addirittura a renderla uno stile adatto alla rappresentazione delle problematiche sociali contemporanee.

Le prime opere divisioniste
La prima opera in cui Pellizza (che dal 1892 inizia ad aggiungere alla firma le proprie origini “da Volpedo”) sposa i principi non solo di un’arte verista e divisionista, ma anche sociale e attenta agli ultimi, è sul fienile, dipinto del 1893 oggi appartenente ad un collezionista privato. Ambientato in uno spazio a lui familiare. Il vecchio portico di casa, l’artista comprende che la tecnica divisionista sia perfetta per instaurare un nuovo rapporto col vero e con i suoi repentini cambiamenti. Più improvvisa che repentina, è invece la sorte del soggetto protagonista. Un uomo semplice, figlio della gleba, che con il piccone in spalla si era allontanato dalla famiglia per poterle garantire il pane quotidiano, e ora, sul fienile, sbatte le palpebre un’ultima volta.

L’interesse per la tristezza e le sofferenze quotidiane dei personaggi più semplici della società a lui contemporanea si ritrovano in molte sue opere degli anni ‘90 dell’ottocento. Tra queste risulta un capolavoro il quadro Speranze deluse, del 1894. Pellizza da Volpedo rappresenta al centro della tela una pastorella addolorata, alla cui sofferenza sembrano unirsi tutti gli elementi dell’ambiente circostante. Gli alberi spogli, le pecore “consolatrici”, il cielo invernale e senza sole, probabilmente già dietro ai colli, in un tramonto imminente, come imminente è lo sposalizio di cui si può vedere il corteo nuziale sullo sfondo. L’artista ci mostra quindi la delusione nella fanciulla, e le sue speranze, ormai tradite ed irrecuperabili come un sole tramontato dietro le colline, di sposare il giovane amato, che in profondità di veduta conduce a nozze un’altra donna.

La preparazione al quarto stato
Nel decennio precedente al 1901, anno della prima esposizione dell’opera, Giuseppe
Pellizza si dedica ai lavori di preparazione per quello che sarà il suo capolavoro assoluto: il quarto stato. Il primo dipinto del terzetto preparatorio, che si concluderà con la grande tela oggi alla galleria d’arte moderna di Milano, è una rappresentazione di piazza Malaspina a Volpedo del 1888, luogo in cui l’artista assisterà a una reale rivolta del proletariato contadino avanzante verso il palazzo dell’opprimente signoria locale che si affacciava proprio sulla piazza. Proprio in riferimento alla rivolta popolare realizza nel 1892, una folla che entra in piazza Malaspina a seguito di tre “ambasciatori della fame”, per l’appunto, loro compagni di lavoro che avanzano verso lo spettatore e l’ombra avanti a loro, simbolo proprio di quel palazzo signorile che si proietta in avanti e che al buio della fame li costringe.

A congiungere questo primo abbozzo con quella che sarà definita per expo Milano 2015 una delle opere simbolo della città, (ovvero il quarto stato) si trova fiumana del 1895-96, oggi alla pinacoteca di Brera, dipinta su una tela già monumentale e con una impostazione molto più simile al capolavoro finale. Innanzitutto uno dei tre “ambasciatori” precedenti viene sostituito da una donna che tiene in braccio un bambino, simbolo della fecondità della classe più misera della società, ma anche come stato primario delle tre età dell’uomo qui rappresentate (gli altri personaggi sono infatti un uomo adulto e uno più anziano), successivamente la fiumana proletaria alle spalle è ora più vicina ai suoi tre legati, in un’unione sociale più salda.

Il quarto stato
Il quarto stato, nasce quindi come opera a cavallo tra due secoli, in quanto Pellizza da Volpedo vi lavora fra 1898 e 1901, ma le sue radici arrivano dagli inizi degli anni 90. L’artista con quest’opera eleva gli intenti della sua lotta socialista, non mostrando più un
volgo proletario agguerrito ed energico, bensì calmo e conscio delle sue forze, che avanza con una certa fermezza per affermare il proprio ruolo e i propri diritti più con la nobile parola che con la violenza. A rendere l’opera più raffinata sono anche le gestualità dei soggetti rappresentanti, che con uno stile divisionista magistralmente applicato, provengono dagli studi di Pellizza sul cenacolo leornardiano e sul cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello, conservato proprio alla pinacoteca ambrosiana.
Rimangono i tre personaggi più avanzati a fare da ambasceria ad una classe sociale che vuole vedere le sue condizioni migliorare. Oggi il quadro, dalle dimensioni monumentali, è uno degli esempi più raffinati di divisionismo pittorico oltre ad essere simbolo della questione proletaria nata con la rivoluzione industriale del XIX secolo, ma non fu acclamato fin da subito. Infatti alla sua prima esposizione alla quadriennale di Torino del 1902 fu malvisto dalla critica, tanto da turbare il già inquieto Pellizza e portarlo a chiudere i rapporti con molti degli artisti ed intellettuali con cui era in contatto, ritirandosi nel suo studio di Volpedo come in un eremo.
L’idillio e gli ultimi anni
Singolare, sia per formato che per tema, insolitamente gioioso per l’artista, è la tela tonda dal titolo idillio primaverile, dipinta nel 1901 ed oggi appartenente ad una collezione privata. Realizzato per la biennale veneziana dello stesso anno, con l’intento di affermare la sua capacità di artista simbolista, ancor più che divisionista, agli occhi sensibili al tema dei critici che frequentavano la mostra lagunare e lodavano la lezione del francese Puvis de Chavanne. La rappresentazione di queste giovani danzanti in un ambiente fiorito, rimanda sempre a quella realtà agreste che Giuseppe conosceva bene, in cui l’uomo segue l’alternarsi ciclico delle stagioni, vedendosi invecchiare, da un girotondo gioioso attorno ai peschi in fiore al lavoro faticoso nei campi da coltivare.

L’artista, di ritorno dai numerosi viaggi per la sua formazione, sposerà Teresa nel 1892, una contadina del luogo che darà alla luce due figlie femmine. Nel 1907, in un momento di relativa fama e apprezzamento per le opere dell’artista, la morte improvvisa della moglie segna anche la sua fine. Verrà ritrovato impiccato, nel giugno dello stesso anno, nel suo studio a Volpedo, inquieto d’animo e scosso da un dolore fattosi insopportabile.

Una fama cresciuta nel tempo
Negli anni successivi, però, la sua fama si è fatta sempre più grande, soprattutto per quanto riguarda il quarto stato, sua opera più celebre. Non solo simbolo assoluto della
lotta proletaria che chiede diritti senza versare sangue, e quindi utilizzato politicamente
e nell’editoria per risvegliare le coscienza dei lavoratori, ma anche nella cultura pop e cinematografica. Ripreso nelle cover del film Novecento (1975, di Bertolucci) e in ogni
edizione del fumetto mensile Dylan Dog, nelle cui prime pagine si trova sempre una rivisitazione dell’opera di Pellizza da Volpedo in cui i personaggi sono sostituiti dai protagonisti della storia stessa.
Pietro Sorrentino
Sono Pietro Sorrentino, classe 2001 e studente universitario nel corso di scienze dei beni culturali presso l’Università degli studi di Milano. Mi reputo un grande appassionato di arte, in particolar modo quella contemporanea.
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https://youtu.be/sCnpmz2m7YA
https://youtu.be/PRkIvThIU6Q
C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui