
Giovanni Segantini nacque il 15 gennaio del 1858 ad Arco, in Trentino. In realtà il suo cognome era senza la “n” che fu aggiunta più tardi per assecondare il soprannome “Segante” con il quale Giovanni fu chiamato dai compagni dell’Accademia di Brera. Molto raccontata, spesso con esagerazioni, è l’infanzia infelice e travagliata di Segantini, che, alla morte della madre, venne mandato a Milano dalla sorellastra che non sarà in grado id educarlo.
Nel 1870, quattro anni dopo la morte del padre, Giovanni, venne arrestato a Milano per vagabondaggio. Dopo aver trascorso tre anni in riformatorio, andò a vivere a Borgo Valsugana col fratellastro, che lo prese come garzone nel suo laboratorio fotografico.
Tornato a Milano, frequentò dal 1874 al 1877 i corsi serali all’Accademia di Brera. Poi nel 1878-79, quelli regolari, con Bertini come maestro. Qui conobbe anche il pittore Emilio Longoni, di cui sarà a lungo amico. È del 1879 la sua prima opera significativa, Il coro di sant’Antonio a Milano in cui emerge l’attenzione agli effetti luministici, già ricercati tramite l’accostamento di colori puri. Con questo dipinto Segantini acquistò una certa notorietà. Notorietà destinata ad aumentare sempre più grazie al sostegno entusiasta di alcuni tra i più autorevoli critici italiani, tra cui Levi e Chirtani.

L’incontro con la tecnica divisionista
Nello stesso anno conobbe Vittore Grubicy, mercante d’arte a livello internazionale, con cui instaurò un rapporto di amicizia e di lavoro che verrà troncato solo nel 1889.
Nel 1880 si trasferì in Brianza dove rimase fino al 1886, con la compagna di tutta la vita, Bice Bugatti, in seguito madre dei suoi quattro figli. In questa fase Segantini lavorò a un graduale superamento della formazione accademica, con opere che echeggiarono ancora gli influssi dell’ambiente lombardo. Quando nel 1886 si trasferì a Savognino, nei Grigioni, l’attenzione al paesaggio si impose. Anche in seguito ai consigli di Grubicy, sempre aggiornato sulle novità e sul mercato internazionali, adottò la tecnica divisionista. La adottò personalizzandola con l’uso di una pennellata striata, a fibra lunga e stretta. È lo stesso Segantini a sottolineare l’importanza dell’accostamento di colori puri per ottenere “la luce, l’aria, la verità”.

Già dal 1889-90, prima del trasferimento in Engadina, a Maloja, dove resterà fino alla morte, Segantini si accostò al simbolismo. Lo vediamo in opere come Le due madri e La raccolta del fieno, che denotano una conoscenza della Secessione viennese. Seguiranno i dipinti più simbolisti, quali Le Lussuriose, Le cattive madri, L’Angelo della Vita, L’Amore alla fonte della Vita e La Vita e La Morte. In questo gruppo di opere, considerate le più significative degli ultimi anni di Segantini, gli echi dello Jugendstil vengono reinterpretati e resi con straordinaria originalità. Reinterpretati senza implicazioni intellettualistiche fine a sé stesse, ma con l’intento costante di offrire una visione soggettiva della natura.
Se ti piace il blog, metti un like alla pagina Facebook 👇👇👀
Il simbolismo di Segantini
Il simbolismo di Segantini assunse quindi un carattere panteistico, cioè identificò nella realtà l’espressione del divino, e fu libero da funzioni di impegno o denuncia sociale. Così, come l’artista affermò di essere arrivato autonomamente al divisionismo, “nello studio sincero e amorosamente scrupoloso della natura”, si può aggiungere che anche l’arrivo al simbolismo sembrò essere il risultato di una naturale evoluzione del suo sentire. Tant’è che già nelle opere del periodo brianzolo, se non addirittura prima, se ne vedono i primi segnali. Appare quindi ingiustificato il tentativo più volte tentato dalla critica di separare la fase divisionista da quella simbolista, leggendo quest’ultima come un’adesione a una moda artistica e culturale.
Nel 1895 gli venne consegnata una medaglia per l’opera Il ritorno al paese natio, alla I Biennale di Venezia. Nello stesso anno, la rivista della Secessione di Berlino Pan dedicò un numero intero a Segantini. Per il padiglione svizzero dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 l’artista studiò un complesso progetto, il Trittico della natura. Il progetto rimase non finito a causa della morte improvvisa del pittore, avvenuta il 28 settembre del 1899, per un violento attacco di peritonite, mentre si trovava in una baita dello Schafberg.
La citazione su Giovanni Segantini
Giovanni de Logu, storico, politico e scrittore, dedicò a Segantini queste parole.
Affine elettivamente al Millet più che al Mauve, fu di quei più schiettamente emotivo, più virile. Quelle altezze e quelle solitudini, fatali alle vertigini del superuomo, allo smarrimento e alla follia di Nietzsche, furono a Segantini sorgente di calma suprema, altare di natura su cui si spiritualizzò, purificò il suo essere, adorò il mondo e la vita col suo panteistico misticismo che, in un unico fervido abbraccio francescano, tenne l’acqua e le erbe, le nubi ed i ghiacciai eterni, l’alta voce ed il gran pianto delle foreste, gli animali ed il sole, le opere, la vita, i giorni, il dolore e la morte.
G. de Logu, Pittura italiana dell’Ottocento, 1958
Scopri di più …
Questo post fa parte di un percorso attraverso il Simbolismo. Per scoprire i temi, gli autori e le opere di questo movimento affascinante e poco esplorato, segui l’etichetta #simbolismoesimbolisti
C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui
Interessante articolo: anche se lo conoscevo, non l'avevo mai approfondito. Ad Arco hanno aperto recentemente anche un museo che racconta la sua storia e le sue opere … prima o poi riesco ad andarci!
Se andrai a visitare il museo poi magari raccontacelo qui ad Artesplorando 😉
A presto!