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Turismo museale, se l’opera d’arte diventa feticcio

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Turismo museale, se l'opera d'arte diventa feticcio

Turismo museale, se l'opera d'arte diventa feticcio

La riflessione che vi pongo oggi a parer mio è molto importante e riguarda il turismo museale. Soprattutto per quello che riguarda il futuro dell’opera d’arte e della sua fruizione. A volte di opera ne basta una sola ed è un evento. Il san Giovanni Battista di Leonardo, a fine 2009, partì dal Louvre per arrivare a Milano. In un mese appena, il risultato furono 182mila visitatori. L’anno dopo, la Velata di Raffaello lasciò il fiorentino Palazzo Pitti per un tour americano on the road: Portland, Reno, Milwaukee.

Come tappe del concerto di una stella pop. Nel 2011 il Narciso, che una parte della critica non attribuisce più a Caravaggio, si divise con mostre flash tra Montenegro (20mila biglietti in 13 giorni) e Cuba, dove ad aspettarlo erano in 60mila. In questo momento a Gerusalemme la star è l’Annunciazione di Botticelli, arrivata dagli Uffizi su un cargo. E c’è ancora chi raccoglie firme per “rimpatriare” per poco la Gioconda, sognando il grande happening. Il Vermeer di New York, che dall’8 febbraio 2014 sarà esposto a Bologna (a Palazzo Fava), è solo l’ultimo caso dell’opera d’arte nell’epoca della sua riduzione a feticcio.

Turismo museale, se l'opera d'arte diventa feticcioMa perché il grande pubblico accorre in massa a queste mostre-eventi, facendo ore di coda, ma snobba i musei cittadini, le pinacoteche, l’arte contemporanea, ecc ecc.?
Forse perché ha bisogno di icone da cui partire. Prendiamo in esempio Vermeer: sintetizza tutto il senso della luce dell’arte fiamminga. Restituisce una visione tersa del mondo che il contemporaneo ha scompaginato e messo in crisi. Serve a sedare il nostro caos, ripristina un ordine visivo e psicologico. Facendo la fila per visitarla, si esprime il desiderio di trovare un rifugio mentre si vive in un’epoca opaca, controluce, ambigua.

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O forse affascinati dai numerosi libri e dal film, si va solo per vedere dal vivo la ragazza con l’orecchino e poter dire io c’ero! magari comprando qualche ricordino e scattando qualche foto. Esattamente come si va a vedere la Gioconda o il Cenacolo di Leonardo. Credo che le mostre devono essere occasioni di esperienza emozionale sì, ma anche di crescita culturale. Estrapolare un dipinto per “iconizzarlo” ci distoglie completamente da quello che è il suo contesto, la sua storia e non ci permette di capirlo veramente. Cristallizzarlo significa farlo morire, adorando il feticcio.

Può essere divertente per qualcuno e un affare per qualcun altro, ma il rischio è confinare l’arte in un’urna tombale. Un rischio, per altro, che in Italia si corre troppo spesso. Molti critici credono che questo stile di mostra abbia rovinato la storiografia e la museografia italiana, forse esagerando, sinceramente non mi sento di dare giudizi così definitivi (anche perché non mi ritengo un critico d’arte!). Quello che credo è che i musei e le mostre dovrebbero educare i cittadini a una dimensione contestuale e ambientale dell’opera d’arte.

Ogni opera nasce da una relazione

Non mi stancherò mai di ripeterlo: ogni opera nasce da una relazione e per capirla appieno bisogna allargare la visione a tanti aspetti storico-culturali-sociali. Ed è quello che cercherò sempre di fare scrivendo in questo blog. Mi piacerebbe avere il vostro parere… quindi, commentate. Per leggere altre riflessioni su arte, cultura e storia dell’arte leggi le altre riflessioni.

C.C.

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