Antonio Ligabue: in bilico tra patologia e genialità

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Antonio Ligabue: in bilico tra patologia e genialità
Antonio Ligabue, volpe in fuga

La storia dell’arte ha sempre avuto bisogno dei suoi “matti”, dal misantropo Pontormo, al folle Antonin Artaud, alla giapponese Yayoi Kusama a Raymond Pettibon. Attenzione però: gli artisti possono essere pazzi, ma non tutti i pazzi sono artisti, come qualcuno invece vorrebbe. E anche in Italia abbiamo il nostro “outsider” in bilico tra patologia e genialità. Antonio Leccabue, al secolo Antonio Ligabue, classe 1899, nato a Zurigo da madre italiana immigrata, espulso dalla Svizzera per molestie alla madre adottiva, e rispedito sulla riva del Po a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, paese natale del padre, dove morirà nel 1965 dopo essere stato ospite di vari manicomi.

Giovanissimo cominciò a disegnare e proseguì in questa attività negli anni successivi, dal 1919 e poi dal 1925 vivendo un’esistenza solitaria, spesso perseguitata e selvaggia. Artistoide pazzo o artista pazzoide? Artista senza alcun dubbio, non genio e non grande, anche se, come succede da noi in Italia, la fama locale si trasforma in grandezza mondiale a patto che i confini del mondo si fermano a Lugano e non un oltre.

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Un Van Gogh nostrano?

Intorno agli anni Trenta l’artista Marino Mazzacurati lo incoraggiò nella sua attitudine pittorica e scultorea, continuando poi ad aiutarlo, ma molto tardi Ligabue ottenne riconoscimenti critici adeguati. L’artista crea in modo primitivo, disegna e dipinge dall’alto al basso fino a riempire la tela. I suoi soggetti sono la natura, gli animali feroci e da cortile, motori e motociclette. È una specie di Van Gogh nostrano. Escluso dai ragazzi che andarono a far la Prima guerra mondiale, fu recluso in case di cura e aie di contadini. Così invece che al fronte fu spedito in provincia e lì si abbandonò al libero arbitrio dell’immaginazione, sabbia mobile per la genialità e le idee.

Dopo la morte, venne considerato il più celebre pittore naif in Italia. Dalla fine degli anni ’20 i suoi temi manifestarono una violenta tensione cromatico-espressiva, che culminò negli anni ’50 in una allucinata e simbolica visione della realtà in Foresta. Notevoli, spesso esasperatamente “espressionistici”, son i suoi numerosi autoritratti.

Oggi Ligabue è una manna per i professori di educazione artistica. I bambini divorano le sue immagini come se fossero illustrazioni di una fiaba. Le giungle e i boschi che realizza ricordano quelli del francese Rousseau, e sono capaci di parlare a tutti, ai vecchi e ai bambini, ai critici e ai profani.

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C.C.

Fonti: Lo potevo fare anch’io, Francesco Bonami, Mondadori, Milano, 2007

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