Artista serba, nata a Belgrado il 30 novembre 1946, Marina Abramovic dai primi anni settanta ha utilizzato il suo corpo come strumento di ricerca artistica, diventando una delle più interessanti protagoniste della body art. La body art è una forma d’arte nella quale l’artista utilizza il proprio corpo come mezzo espressivo. Queste rappresentazioni che mescolano teatro, meditazione e in alcuni casi autolesionismo, possono avvenire in forma pubblica, all’interno di gallerie o musei, oppure in forma privata e comunicate attraverso foto e video.
Marina Abramovic ha spesso lavorato in condizioni estreme di sofferenza fisica o tensione psicologica, mettendo a dura prova la sua capacità di sopportazione e suscitando nel pubblico forti reazioni emotive. Fondamentale all’interno del suo percorso è stato l’incontro e la collaborazione con l’artista tedesco Ulay, suo partner nella vita e in numerose performance. Relation works è il titolo scelto da Marina e Ulay per indicare una serie di azioni degli anni settanta, quando i due artisti si presentarono come una coppia inseparabile e in simbiosi. Le loro performance erano caratterizzate da tensione e violenza che alle volte mise alla prova i limiti fisici e psicologici dei due artisti.

Marina Abramovic, la madre della body art
Dopo anni di convivenza e di lavoro comune Marina e Ulay decisero di separarsi nel 1989 realizzando un’intensa performance. Entrambi percorsero a piedi la Grande Muraglia cinese. Lei parte dal Fiume Giallo a sud, lui dal deserto di Gobi a nord. Si incontreranno al centro e si diranno addio. Tra le performance più significative di Marina, ricordiamo Balkan Baroque, premiata alla Biennale di Venezia del 1997. Riflessione sui conflitti che stavano all’epoca sconvolgendo la sua terra d’origine. Durante la performance l’artista ripulì per otto ore al giorno grandi ossa animali in una specie di rituale macabro di purificazione.
Insieme a Ch. Atlas, tra il 1989 e il 1994, la Abramovic ha elaborato Biography, un lavoro che ripercorre, mescolando performances. Videoregistrazioni di esperienze passate, scritti e fotografie legate all’infanzia o al rapporto con Ulay, le sue più intime motivazioni e le tappe principali della sua vita. Ma soprattutto credo che la Abramovic abbia creato una delle performance più coinvolgenti di sempre. Settecento ore di azione, mezzo milione di partecipanti. Toccati nel profondo da un’esperienza unica. The artist is present entra nel progetto che, tra marzo e maggio 2010, ha trasformato gli spazi del MoMA di New York nel teatro di un intimo abbraccio con il mondo.
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Insomma Marina Abramovic si può definire un’artista inquieta e affascinante, in grado di cambiare il concetto di performance grazie a un nuovo modo per coinvolgere il pubblico. Già con Imponderabilia, lavoro del 1977, che l’ha portata insieme al compagno Ulay a star ferma sulla soglia di una delle sale della GAM di Bologna, coinvolse e sconvolse il pubblico obbligandolo a vincere il proprio imbarazzo.
Perché forse mettersi in gioco è uno dei modi per capire la storia dell’arte.
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Questo post fa parte della rubrica #lopotevofareanchio, in cui se vuoi puoi esplorare l’arte contemporanea!
Attraversare i muri. Un’autobiografia, Marina Abramovic, James Kaplan, Bompiani, 2016 http://bit.ly/2oBQKFP
C.C.