Yes, we camp ?

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Carlo Crivelli, Madonna con bambino e mosca

Chi di voi ha mai sentito nominare la parola “camp” o sa di cosa si tratta? Il camp è una forma di sensibilità artistica che, più che trasformare il frivolo in serio, fa l’opposto e cioè cambia il serio in frivolo. Il gusto camp nasce come segno di riconoscimento tra i membri di un élite intellettuale. Così sicuri del proprio gusto raffinato da poter decidere il riscatto del cattivo gusto di ieri, sulla base di un amore per l’innaturale e l’eccessivo. E il richiamo è al dandismo di Oscar Wilde per cui “essere naturali è un atteggiamento così difficile da mantenere” come scriveva in Un marito ideale. Questo tipo di gusto lo si può far risalire ai manieristi. Alle poetiche barocche, della meraviglia, ai romanzi gotici, alla passione per le cineserie o per i ruderi artificiali.

Il camp non si misura sulla bellezza di qualcosa, ma sul suo grado di artificio e di stilizzazione. Non si definisce tanto come stile quanto come una capacità di guardare allo stile degli altri. Ci deve essere nell’oggetto camp qualche esagerazione e qualche marginalità. Nonché qualche volgarità, anche quando cerca la raffinatezza. Oggetti camp, tanto per intenderci, sono le lampade Tiffany e Beardsley, certe cartoline di fine secolo, vecchi fumetti di Gordon, gli abiti femminili anni Venti, ecc ecc. Sono definiti camp una donna che passeggia con un vestito fatto di tre milioni di piume. I quadri di Carlo Crivelli, con inseriti gioielli autentici, insetti trompe-l’oeil e finte fessure nei muri. Senza dimenticare il fatto che il camp è attratto dall’ambiguità sessuale.

Ma attenzione, il camp non va necessariamente identificato come la “cattiva” arte, perché nella lista ci stanno oltre a Crivelli, anche Gaudì, Bosch, o artisti minori e raffinati come Erté. È l’amore per l’eccentrico, per le cose-che-sono-come-non-sono. L’esempio migliore è l’Art Nouveau, perché i suoi oggetti trasformano lampade e lampadari in piante fiorite, il soggiorno in una grotta o viceversa. Gli steli di orchidea in ghisa, come accade negli ingressi del Metro di Guimard a Parigi.

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Lampada Tiffany

È una soluzione al problema di come essere dandy nell’epoca della cultura di massa. Però mentre il dandy cercava sensazioni rare, non ancora profanate dal godimento delle masse, l’intenditore camp si realizza nei piaceri più rozzi e comuni. Il dandy teneva un fazzoletto profumato davanti al naso ed era soggetto agli svenimenti. L’intenditore camp invece cerca il fetore e si vanta di avere lo stomaco forte.

Il brutto di ieri è il bello di oggi

Insomma si può concludere dicendo che il camp offre all’arte e alla vita un insieme di criteri di giudizio diversi, e complementari, trasformando il brutto di ieri in bello d’oggi.
E voi vi siete mai sentiti un po’ camp?

C.C.

Fonti: Storia della bruttezza, a cura di Umberto Eco, Bombiani, 2011

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