Arte e scienza

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Arte e scienza
Il prisma ottico

È dall’età di Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti che le arti visive, si confrontano con le ragioni della scienza.
In questo caso una scienza della visione che, nel mettere a punto gli strumenti atti a una rappresentazione arbitrariamente attendibile della realtà, garantisse al lavoro stesso dell’artista gli statuti di una dignità intellettuale e forse persino borghese. Ben prima del XV secolo, era stato Vitruvio ad attribuire, al solo architetto tuttavia, la complessità di numerosi saperi scientifici (matematica, geometria, astronomia, medicina …).

Poco più di un secolo fa, a tanta distanza del cimento prospettico dei maestri toscani, nel cuore dell’età del positivismo ci fu una novità. Fu ancora la pittura a misurarsi con la scienza della percezione, ovvero con l’ottica. Seurat e, sia pure più superficialmente, gli altri divisionisti o neoimpressionisti, che dir si voglia (con l’eccezione del contributo di Signac), avrebbero dimostrato che l’immagine pittorica va costruita in base alla conoscenza delle leggi scientifiche. Leggi che sovrintendono all’effetto prodotto dai colori, quando essi vengono accostati agli altri in singole unità “analitiche” di pigmento. E questo costituirà la verifica, sulla tela, delle teorie del chimico Michel-Eugene Chevrel circa l’esperienza del “contrasto simultaneo”.

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Per riassumere: sono la prima modernità ottocentesca e più tardi quella novecentesca a formulare un idea anti-simbolica, anti-romantica, ma anche anti-accademica, dell’arte. L’architettura degli ingegneri si colloca all’estremo opposto rispetto a quella delle “Scuole di Belle Arti”. Ma si può dire senza dubbio che nel tempo si è sviluppata, più o meno scopertamente, una sorta di concezione ingegneresca, razionalista dell’arte. Una concezione che, dopo i frammentari esordi ottocenteschi, ha attraversato con una certa costanza tutto l’arco temporale del Novecento. Fino ad arrivare ai giorni nostri.

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Uno spunto di riflessione

Tutto ciò porta a un quesito che giro a voi per concludere questa divagazione-riflessione. L’opera d’arte, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica o, addirittura in quella della tecnica tout court, con che cosa deve dialogare? È in grado di salvaguardare quell’aura necessaria, quella “distanza di rispetto” derivante dalla sua unicità, che nel passato era stata una prerogativa fondante? L’arte deve essere testimonianza umana, esistenziale, individuale, gesto autografo oppure neutra esercitazione formale?

Il dibattito resta sempre aperto!

C.C.

2 Commenti

  1. Sto imparando che fondamentalmente, allontanandosi dal mito dell'arte… fare l'arte (o provarci, nel mio caso!) significa entrambe le cose. Si considerano aspetti tecnici, anche matematici o geometrici ad esempio che si fondono con le suggestioni dell'inventiva, Una sorta di alchimia molto strana ma essenziale, l'arte è arte ma è scienza, scienza e conoscenza del corpo umano, scienza e conoscenza della natura attraverso il mezzo dei sensi e dell'osservazione.
    Non esiste secondo me una differenza o una netta separazione fra le parti: esse cooperano. Poi il modo in cui incidono sulle opere è scelta e percorso personale dell'artista!

    Almeno questo secondo l'esperienza che sto portando avanti io! ^^

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