Land art, arte e ambiente

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Land art
Robert Morris, observatory
Oggi per la rubrica che esplora il contemporaneo, vi parlo di Land Art.
Ma di che si tratta e da dove deriva il suo nome?

Land Art è il titolo del film di Gerry Schum (1969) che documenta i lavori di Walter De Maria, Robert Smithson, Michael Heizer, Dennis Oppenheim, Richard Long, Barry Flanagan e Marinus Boezem. Con questa etichetta vengono definite quelle operazioni artistiche che, a partire dal 1967-68, vanno al di là degli spazi espositivi dell’arte e delle aree urbane, intervenendo direttamente nei territori naturali.

Lo sviluppo maggiore e più spettacolare di questa tendenza ha luogo negli Stati Uniti, dove gli artisti sono affascinati sopratutto dagli immensi spazi incontaminati come i deserti, i laghi salati, le praterie. Questa dimensione “assoluta” si oppone dialetticamente all’artificialità e alla fredda e geometrica monumentalità delle metropoli, rappresentando l’altra faccia dell’identità geografica americana. In questo senso la Land Art si oppone per molti versi, alla pop art e alla minimal art.

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L’operazione del land artist non è, ovviamente, quella di collocare delle sculture nella natura, ma di utilizzare lo spazio e i materiali naturali direttamente come mezzi fisici dell’opera, attraverso interventi su grande scala. Ma vediamo alcuni esempi che spiccano in questa “corrente”.

Robert Morris

Robert Morris, nel 1966 progetta un grande anello di terra ricoperto d’erba per l’aeroporto di Dallas e altri interventi. Ma solo nel 1971 lo riesce a realizzare, in Olanda, Observatory: una complessa costruzione ad anelli concentrici.

Land art
Christo, running fence

Christo

Questo artista è molto noto (sicuramente ne avrete già sentito parlare) per i suoi interventi spettacolari di “impacchettamento” sia di monumenti che di luoghi naturali, come la scogliera di Little Bay in Australia (1969). Tra i suoi più importanti interventi ambientali si può citare Running Fence (1972-1976). Una barriera lunga 24 miglia, formata da una tenda di tessuto sintetico che si snodava nel paesaggio come una sorta di muraglia cinese, effimera e di grande leggerezza.

Land art
James Turrel, roden crater

James Turrel

Questo artista sta lavorando da molti anni a un’affascinante e immensa opera ambientale. Si tratta di interventi all’interno e sulla cima di un antico vulcano spento nel deserto, il Roden Crater.

Land art
Heizer, dissipate

Heizer

L’artista incomincia a progettare i suoi lavori nel 1967, anno in cui realizza in Nevada il suo primo grande scavo cubico, il primo di quattro da situare ai quattro punti cardinali. Nel 1968-69 realizza, sempre ne deserto del Nevada, Dissipate, cinque enormi fosse rettangolari, bordate all’interno con lastre d’acciaio, disposte in modo casuale.

Walter de Maria

Come non parlare di Walter de Maria e di quello che è forse il suo più spettacolare intervento. The Lighting Field installato in una piana arida del New Mexico. Si tratta di quattrocento alti e appuntiti pali metallici disposti in sequenze regolari su un’area rettangolare. Aspetti determinanti di questa gigantesca opera ambientale sono il rapporto fra cielo e terra. Protagonisti sono gli effetti di luce e specialmente i fulmini che scaricano a terra, attirati dai pali che hanno funzione di parafulmini.

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Walter de Maria, the lighting field

Roberth Smithson

E infine, Roberth Smithson che nel 1970 riesce a portare a termine il suo intervento più impegnativo di Land Art. Si tratta di Spiral Jetty, una grande banchina a forma di spirale nel Great Salt Lake (Utah), costruita accumulando più di 60.000 tonnellate di terreno circostante. È una testimonianza della forza delle tecnologie moderne, ma appare anche come un gigantesco monumento primitivo, che ci riporta alle origini della storia dell’uomo.

Land art
Roberth Smithson, spiral jetty

Va notato che la quasi inaccessibilità dei luoghi, e il progressivo degrado degli interventi nel tempo, tendono a rendere queste opere praticamente invisibili e immateriali per la maggioranza del pubblico. Quello che rimane (progetti, foto e filmati) si trova solo nelle gallerie e nei musei, proprio quegli spazi separati da cui volevano sfuggire gli artisti!!

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Questo post fa parte della rubrica #lopotevofareanchio, in cui se vuoi puoi esplorare l’arte contemporanea!

C.C.

Fonti: Arte contemporanea, a cura di Francesco Poli, Electa, Milano, 2003

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