
La poesia visiva è una tendenza diretta a rinnovare i tradizionali procedimenti di composizione poetica attraverso le qualità visive del testo e la ricerca di nuovi rapporti tra la parola e l’immagine. I testi creati da questi artisti sono generalmente brevi e debolmente strutturati. Sono testi formati da titoli, slogan, singole parole usate per il proprio intrinseco, autonomo significato. I poeti visivi non si limitano all’uso di elementi testuali, ma si avvalgono anche di materiali visivi tratti dai canali di comunicazione di massa. La pubblicità, i fotoromanzi, i rotocalchi, i fumetti. La pagina quindi prende l’aspetto di un collage, in cui il testo non serve a commentare le immagini, né queste a illustrare il testo. Entrambi gli elementi conservano i loro autonomi significati, spesso anche volutamente in conflitto.
La poesia visiva inizia a diffondersi a partire dagli anni Sessanta. Questo termine era in particolare originariamente legato al Gruppo 70, fondato a Firenze nel 1963. In effetti però il movimento d’avanguardia dei poeti visivi si sviluppa soprattutto in Europa e in America del sud. Molti sono i gruppi egli artisti che vi dedicheranno i propri sforzi creativi. Vediamone una veloce carrellata.
Gli artisti e i luoghi
- In Brasile il gruppo Noigrandes, formato nel 1952 da A. e H. de Campos e da D. Pignatari.
- In Svizzera E. Gomringer.
- A Vienna G. Rühm, K. Bayer, O. Wiener e F. Achleitner, a Darmstadt D. Spoerri, E. Williams, C. Bremer.
- In Gran Bretagna I.H. Finlay, Dom S. Houédart, J. Furnival, K. Cox, J.J. Sharkey, insieme con A. Lora-Totino, M. Bense, C. Claus, J. Kolář, H. Chopin, che è, tra l’altro, il fondatore di una delle riviste più importanti di poesia visiva e sonora. Cinquième Saison (tra le altre riviste orientate nell’esplorazione dei nuovi campi della poesia si ricordano Rot, Invencão, Les Lettres).
Negli anni Sessanta e Settanta svolgono la loro ricerca poetico-visiva anche S.M. Martini, E. Isgrò, L. Pignotti, A. Spatola, E. Miccini, U. Carrega, B. Porter, M.E. Solt e T. Ulrichs. Pur nelle differenti impostazioni, ciò che accomuna tutti gli esponenti della poesia visiva è comunque il tentativo di fondare una nuova forma d’arte che non sia esclusiva della parola, come la poesia, né dell’immagine, come la pittura. Si cerca una forma d’arte che si configuri come un’arte generale del segno.

I poeti visivi vogliono innanzitutto superare la forma lineare della pagina scritta, per organizzare il messaggio entro l’intero spazio della pagina, proprio come un pittore compone le sue immagini sulla superficie della tela. I rapporti tra le parole non avvengono dunque solo alla luce delle leggi sintattiche e metriche, ma anche tenendo conto delle caratteristiche formali dell’insieme. È un movimento d’avanguardia che prende le mosse da quei poeti che già alla fine dell’Ottocento avevano indagato le possibilità espressive offerte dall’elaborazione tipografica del verso, ma non solo. Altre avanguardie avevano immesso nel dipinto elementi verbali. Mi riferisco al cubismo, al futurismo, al dadaismo e al surrealismo.
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Questo post fa parte della rubrica #lopotevofareanchio, in cui se vuoi puoi esplorare l’arte contemporanea!
C.C.
Fonti: Arte contemporanea, a cura di Francesco Poli, Electa, Milano, 2003