
Un modo per conoscere Andrea Mantegna, fuori dai classici recinti della storia dell’arte, è quello di analizzare le sue pale d’altare e l’evoluzione della sua tecnica stilistica. Dopo aver parlato di Padova, della formazione del maestro e dei suoi primi capolavori, ci spostiamo. Questo viaggio inizia a Venezia. Quando il pittore giunse nella capitale lagunare fece un primo salto di classe sociale. Passò da artigiano colto ad artista colto.
Entrò a far parte della famiglia di artisti veneziani più importanti, i Bellini, di cui sposò nel 1453 la figlia del capo bottega Jacopo, Nicolosia, sorella di Giovanni e Gentile. Il pittore scoprì così a Venenzia un mondo in cui l’intellettuale parlava con l’artista. A differenza di Firenze dove di solito era l’umanista che diceva all’artista quello che doveva fare. Mantegna all’epoca aveva 22 anni e già da tre veniva definito “il maestro che sa scolpire in pittura”, il più grande pittore vivente.
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Ma ecco che entra in gioco un altro personaggio fondamentale per la vita di Mantegna, Gregorio Correr, nipote di cardinale e pronipote di papa Gregorio XII, veneziano, coltissimo personaggio cresciuto in curia, educato alla politica nei concili antipapali e raffinato a Mantova alla scuola di Vittorino da Feltre. Il Correr aveva preso in simpatia Mantegna quando lui aveva appena 12 anni e lo aveva introdotto nei meandri della cultura antiquariale dei libri, nello studio dei classici e nella riscoperta dell’antico. Presto Correr si trasferì a Verona, dove succedette allo zio Antonio come abate di San Zeno. Ma con Mantegna continuerà per anni a intrattenere rapporti.
Così la basilica di San Zeno a Verona diventa uno dei luoghi chiave per la nostra storia. Sotto il meraviglioso soffitto a carena di nave ci appare la celebre Pala di San Zeno, commissionata ad Andrea proprio da Gregorio Correr. Il polittico si mostra oggi nella sua completezza solo grazie a repliche ottocentesche della parte inferiore. Le tre predelle originali in basso infatti sono gli ultimi furti di Napoleone mai restituiti all’Italia dopo il 1815 e rimangono separate in Francia. Due a Tours e la Crocifissione a Parigi, al Louvre.

Quest’ultima tavoletta ha dei particolari straordinari: il grido di San Giovanni, il soldato in piedi e quell’altro in primo piano molto scenografici. Ma non mancano i dettagli naturalistici come il cavallo visto di scorcio e il bel paesaggio sullo sfondo. Tutta la Pala di San Zeno venne iniziata nel 1443, anno in cui Mantegna aveva appena 12 anni e ultimata sul finire degli anni 50, quando il pittore era ormai un trentenne maturo. Si spiega così il percorso stilistico in evoluzione che va dagli angioletti e dal bambino del pannello centrale un po’ “infantili”, al Cristo adulto in croce e alla Madonna che sviene, in un dolore di pietra, tra le braccia delle pie donne.

Di quarant’anni più tarda è la Pala Trivulzio, oggi al Castello Sforzesco a Milano, con gli angeli cantori, così evoluti e cresciuti rispetto alla visione degli angioletti di una volta. Molto metafisici, quasi surreali, raccolti in una mandorla attorno alla Madonna e a loro volta chiusi in una vegetazione infinita che si sostituisce all’architettura. La Madonna sembra di porcellana e il bambino ha una posa quasi buddista. Un’opera incredibile nel suo insieme, che verrà dimenticata dal Quattrocento fino al XVI secolo per essere riscoperta dagli artisti del Seicento come il bolognese Guido Reni.
Continua l’esplorazione
Due opere queste che ci danno l’idea della crescita e della straordinaria modernità di Andrea Mantegna.
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C.C.
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