
La riscoperta della cultura classica nel Rinascimento ha ripristinato in tutto il suo fulgore il nudo artistico, che viene confermato da tre opere straordinarie: un’opera segreta, l’Uomo Vitruviano di Leonardo, un capolavoro manifesto, la Pietà di Michelangelo, e un grande progetto intellettuale, il Cortile delle statue al Belvedere. È così che si avvia il ‘500, il secolo in cui giunge a piena maturazione l’idea occidentale di nudo. Il foglio leonardesco rimane in effetti sconosciuto fino al 1810! Se l’Uomo vitruviano è il capolavoro segreto quindi, il capolavoro manifesto è la Pietà michelangiolesca, 1499, di San Pietro.
Opera prima di una serie di dolenti riflessioni sul tema che si compiranno con la desolata Pietà Rondanini. L’artista nel declinare la nudità del Cristo morto si affida ad attenzioni anatomiche anche minute. Ma ciò che gli importa non è tanto la correttezza, quanto la drammaticità espressiva dell’abbandono, lo scomporsi della posa, il peso che grava tra le braccia della madre.

Ma Michelangelo è molto altro. Il David fiorentino del 1501, una sorta di Ercole moderno. Gli ignudi pacati che fanno corona alla Sacra Famiglia del Tondo Doni. E quelli concitati che abitavano la battaglia di Cascina. Tutti indicano il percorso che porta, nel 1508, all’avvio del capolavoro massimo che è la cappella Sistina.
Nel frattempo si è verificato il terzo grande fatto che segna le vicende del nudo nel Cinquecento: la creazione del Cortile delle statue in Vaticano.
Nel 1503 Giulio II Della Rovere incarica Bramante di incorporare nel palazzo Vaticano il contiguo casino del Belvedere con la creazione di un ampio cortile. In questo straordinario scrigno, a cui gli artisti si rivolgeranno spesso, trovano luogo nel giro di poco tempo l’Apollo, il Torso, il Commodo come Ercole. L’Ercole e Anteo, la Venux Felix, il Tevere e il Nilo, la Cleopatra o Arianna. Ma soprattutto il Laocoonte, opera destinata a mutare le sorti dell’arte.


Per questo realizzerà nella Stanza della Segnatura in Vaticano, Adamo ed Eva come due giovani reali nel pieno del fulgore fisico e giunge a celebrare il trionfo dell’antico nella Galatea della Farnesina che è evocazione trionfale del passato, ma contemporaneamente allusione al presente, perché nelle sue fattezze ritroviamo Imperia, maitresse del committente Agostino Chigi e rinomata cortigiana. E la donna tutta carnale che ritrae nella Fornarina (di cui vi ho parlato QUI), altro nudo celeberrimo dell’artista, è molto probabilmente una musa di Raffaello, figura realmente esistita.
Nella pittura cinquecentesca a Venezia, altro centro fondamentale per il rinascimento dopo Firenze e Roma, il classico diventa pretesto per ritratti e scene in cui l’erotismo dello sguardo fa da padrone, ammantato da un contesto mitologico e a volte sacro.

Il Concerto campestre (di cui vi ho parlato QUI), variamente attribuito a Tiziano e Giorgione, potrebbe essere un’allegoria della poesia, a patto di considerare reali le figure maschili abbigliate, e prodotti della loro fantasia poetica le due figure femminili nude, che esibiscono la propria piena bellezza.
La Laura giorgionesca, 1506, inaugura una serie di immagini femminili dal seno scoperto, ricordando il precedente atipico dell’algida Madonna con Bambino e Angeli di Jean Fouquet di metà Quattrocento.

La divinità si è fatta umana e viceversa. Ecco allora che le due straordinarie Veneri, sempre di Giorgione e Tiziano, che semplicemente mostrano donne nude stese su un giaciglio mentre (nel caso della Venere di Urbino) le sue serve sul fondo preparano degli abiti. Spesso in queste scene quotidiane non c’è alcun mito conosciuto. Sono donne reali, modelle, cortigiane, o entrambe le cose.
Ecco perché il monaco agostiniano Martin Lutero nella sua visita a Roma nel 1510, rimase sconvolto dalle iconografie lussureggianti e dai modi di vita molto poco angelici. Lui che da bravo cristiano tedesco non era molto abituato alle sottigliezze rinascimentali!

Non è un caso che uno dei primi effetti della Riforma protestante sia un fittissimo e violento dibattito intorno alle immagini sacre. L’accusa è che a Roma si venerino icone per la loro bellezza e non per il significato religioso che sta dietro la loro rappresentazione.
La dimensione e la forza della Riforma protestante non fanno mutare atteggiamento alla corte papale e alle élite intellettuali italiane.
Il nudo si è fatto da ideale classico a reale e molto erotico, indice del clima che si respirava a Roma come in altri centri culturali italiani. Pensate che una stima fatta su Roma nel 1526-27 indicava su cinquantatremila abitanti, millecinquecento donne che esercitavano la prostituzione. Cifra iperbolica, ma perfettamente indicativa della percezione che la città offriva di sé e per questo era tanto odiata dai protestanti!
Se ti piace il blog metti un like alla pagina Facebook! 👇👇👌
Scopri di più!
Questo post fa parte di un percorso attraverso il nudo. Se ti interessa leggere altro segui l’etichetta #ilnudonellarte.
C.C.
Fonti: Storia generale del nudo, Flaminio Gualdoni, Skira, Milano, 2012