Vincent e Theo

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Vincent e Theo

Vincent van Gogh ha ispirato diversi film e documentari sulla sua travagliata e turbolenta vita, ma oggi vi voglio parlare di Vincent e Theo, film di Robert Altman del 1990 che vede nel ruolo di Van Gogh il grande Tim Roth e nel cast Jean-Pierre Cassel. Il film narra un decennio (1880-1890) della vita del pittore olandese e di quella del fratello Théodore, mercante d’arte che tenta di far apprezzare i quadri dipinti da Vincent al grande pubblico, senza però ottenere grandi risultati. Nonostante gli sforzi di Théo, il pittore muore povero e suicida.

Theo lo vediamo già nella prima scena. Promette a un Vincent malconcio e restio nei suoi confronti, che lo avrebbe aiutato in tutti i modi. Theo promette un sostegno economico al fratello a patto d’essere fatto partecipe delle sue scelte e dei suoi pensieri.
Inizia un’alleanza stretta e indissolubile, per la quale Vincent e Theo rimangono in continuo contatto attraverso lettere e visite.
Theo cerca in ogni modo di aiutare Vincent, rappresenta per lui l’unico punto d’appoggio nel turbinare continuo degli eventi e delle passioni, e si fa complice della sua vicenda pittorica.

Diversi sono i litigi fra i due, soprattutto dovuti alle accuse di Vincent al fratello di essere troppo legato ai canoni della vita borghese, di scendere a compromessi sul lavoro e di non provare seriamente a vendere le sue opere. Tuttavia l’immagine che Altman ci dà di Vincent non è minimamente associabile al mondo borghese nella sua ricerca di interessi economici, quanto piuttosto a quella di un sostenitore della causa dei “ribelli” artisti d’avanguardia che combatte per la diffusione del nuovo tipo d’arte.

E non va meglio sul piano sentimentale per Vincent. Sono molti i fallimenti che lo costringono a rapporti fugaci e occasionali e gli tolgono la possibilità di una relazione seria. Vincent aspira al matrimonio, a costruirsi una famiglia tranquilla e gioiosa, magari con molti figli. Lo confessa a Sien, la donna lavandaia e prostituta con cui vive per un periodo. Ma per il difficile carattere, le esigenze artistiche e la scelta di vita della donna, Vincent viene lasciato e il suo progetto famigliare finisce.

In questo disordine totale, la ricerca di una soluzione alla tempestosa vita di Vincent sembra più sentita da Theo, che dal pittore stesso. Con continui sacrifici e sforzi il fratello cerca di aiutare l’artista, e continuamente si sforza di capirlo e trovare soluzioni per lui.
La vita di Theo è totalmente protratta verso il sostegno e il conforto per Vincent, ora con le lettere, ora con l’ospitalità, ora con le visite e i consigli. Ora con le proposte e con i numerosi tentativi di far conoscere, apprezzare e vendere i quadri di quel fratello che tanto stima come pittore.

Il legame affettivo tra i due fratelli raggiunge l’apice con la scena finale, nella quale Theo piange la morte del fratello con grande angoscia, nudo e solo, torturato dalla mancanza di un caro amico che aveva sempre stimato e amato, e insieme dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza.
Il rapporto fra i due fratelli fu difficile, ma sempre strettissimo, anche quando fra i due c’erano lunghe distanze. Theodore decise infatti di chiamare suo figlio Vincent e, una volta morto il fratello, impazzì a sua volta e non gli sopravvisse che di alcuni mesi.

Veniamo alla parte critica. Il film è tutto sommato ben riuscito e devo dire che ne consiglio la visione. Partendo da una storia tanto intensa e da un personaggio così affascinante (nel senso più morboso del termine) e complesso come Vincent Van Gogh, Altman decide di mettere in scena una rispettosissima e accuratissima biografia. La sceneggiatura è opera dell’autore televisivo inglese Julian Mitchell. Fra i punti a favore della pellicola c’è sicuramente la scelta del protagonista. Tim Roth, reso biondo e con un accenno di barba, fa un’ottima riuscita, dando vita a un Van Gogh assolutamente credibile nella sua schizofrenica intensità. Allo stesso modo vanno premiate le ricostruzioni degli interni d’epoca, davvero accurate e con l’aggiunta di un utilizzo di colori affini con i gusti del protagonista.

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Fra i punti a sfavore invece non si può non citare la lunghezza del lavoro, che supera le due ore, attestandosi sui centoquaranta minuti di durata (ma la versione televisiva arriva a circa duecento). Considerando che il lasso di tempo ricostruito dal film è di pochi anni, probabilmente si poteva stringere di più, rendendo più scorrevole la storia.

Continua l’esplorazione …

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C.C.

Fonti: www.parol.it

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