
Continua il viaggio attraverso il nudo e siamo giunti a cavallo tra il ‘500 e il ‘600. Odoardo Farnese chiama a Roma il bolognese Annibale Carracci, affidandogli le decorazioni pittoriche del palazzo di famiglia. L’impresa è tra le più grandiose della storia dell’arte. Concretizza subito gli effetti che il dettato controriformista ha sulla rappresentazione del nudo e sugli artisti più attenti. Ad eccezione di alcune anime più tormentate, in un primo momento gli artisti si conformano alle circostanze esteriori dei committenti. Attenzione e adesione alle norme nel caso di opere sacre. Ricorso a iconografie prese dalla mitologia antica, nel caso di imprese laiche. In generale però il mondo degli artisti comincerà ad avvertire come estranee le regole controriformiste. Regole viste come parte di un dibattito teorico che si stava trasformando in disciplina autonoma, riguardante più il discorso sull’arte che la sua autonoma concezione e pratica concreta.

Due sono i fatti che supportano questa tesi.
- Caravaggio giunge a Roma nel 1592 e realizza opere in cui il nudo è un’assunzione diretta, vitale, potente del vero corporeo visibile. Senza filtri intellettuali che non siano quelli della conoscenza dell’arte.
- A Bologna i Carracci introducono all’interno dell’accademia lo studio del nudo dal vero. Secondo questi artisti l’arte non deve essere fatta di discorsi, di regole, ma di “parlare con le mani”. Cioè il momento del fare deve essere centrale
Con i primi trent’anni del Seicento da un lato quindi abbiamo Annibale Carracci e i suoi emuli bolognesi che creano un classicismo rinnovato e orgoglioso che parte dallo studio del nudo dal vero. Dall’altro, in Italia e Nord Europa il caravaggismo si afferma con la sua visione diretta e cruda del corpo. Inserito sempre in scene di forte impianto teatrale, dall’altro ancora a Roma sboccia il genio nuovo di Gian Lorenzo Bernini.

In questo orizzonte ben definito di colloca Artemisia Gentileschi, per la quale il nudo non è motivo funzionale all’invenzione iconografica. Ma diventa protagonista, in un’affermazione della fisicità della scena che lo splendore degli incarnati e la modulazione degli effetti luminosi rendono vera gioia per gli occhi. Solo Guido Cagnacci, che deriva direttamente dal Guercino e l’intimamente sensuale Francesco Furini, in quegli anni, giungono ai livelli di carnalità potente di cui è capace Artemisia.
Il nudo è natura e spettacolo, nel barocco che Rubens e Bernini annunciano, è sfarzo fisico e meraviglia, e dove la cornice mitologica e allegorica lo consente, sensuale pienezza di sguardo. Dal Nord riformato alle cattolicissime Spagna e Italia, la seconda metà del Seicento manifesterà un progressivo allentarsi della morigeratezza degli usi. Aspetto che non avrebbe potuto avere difensori strenui in papi dai costumi mondani come Urbano VIII Barberini e Innocenzo X Pamphili. Più di questo conta però il definitivo spostarsi della centralità del dibattito culturale lontano da Roma. Le grandi corti, Madrid, Vienna e Londra, sono centri d’attrazione per artisti e intellettuali, ormai preferibili a quella papale.

Ma sarà un pittore francese a portare a compimento nel XVIII secolo il processo di laicizzazione sensuale dello sguardo, lasciandosi alle spalle la mediazione classicista delle pose auliche, della monumentalità, dell’enfasi, della costumatezza visiva: François Boucher.
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Continua l’esplorazione
Questo post fa parte di un percorso attraverso il nudo. Se ti interessa leggere altro segui l’etichetta #ilnudonellarte.
C.C.