

Marsilio Ficino e il suo mecenate
Cosimo de’ Medici fu il suo mecenate, e gli offrì i mezzi e lo spazio per dar vita alla sua Accademia Platonica, chiedendogli di indagare a fondo l’operato del filosofo greco e farlo conoscere, tradotto, agli intellettuali del periodo. Ficino alternò a lungo l’attività di cura dei testi del maestro greco con le conversazioni di carattere filosofico e politico tenute con gli amici. Amici che gli permisero di elaborare una propria personale interpretazione dell’opera platonica, facendola convivere con la religione e il pensiero cristiano. Nel 1473 divenne sacerdote, proseguendo comunque nella speculazione filosofica, e sobbarcandosi anzi l’onere di dimostrare che la filosofia di Platone era in armonia con la dottrina cristiana, come già Tommaso d’Aquino aveva fatto con quella d’Aristotele.
Fra le sue opere più importanti è in effetti la Theologia platonica (1482), a cui si affiancano opere strettamente religiose (Commentarium in Epistolas D. Pauli), commenti filosofici (Commentarium in Platonis Convivium, 1469, in cui riprese la forma del dialogo platoniano), e un numero impressionante di traduzioni dal greco di opere di Platone e di filosofi greci. Furono proprio queste traduzioni a rendere per la prima volta accessibile al grande pubblico testi fino ad allora ignoti in Occidente.
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L’opera di Marsilio Ficino ebbe un’importanza straordinaria nella storia della cultura. Per vari secoli i dotti europei conobbero Platone e i neoplatonici quasi sempre attraverso le traduzioni e i commenti ficiniani. Ma quei testi ebbero anche un’importanza più ristretta. Da essi trasse i suoi stimoli più vivi l’ambiente raffinato della Firenze medicea, dove la filosofia di Marsilio Ficino s’incarnò idealmente in opere come le Stanze del Poliziano e la Primavera del Botticelli.
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C.C.
Fonti: Guardar lontano, veder vicino, Philippe Daverio, Rizzoli, Milano, 2014