Il nudo all’epoca dei lumi

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nudo all'epoca dei lumi
Antonio Canova, Paolina Borghese come Venere vincitrice, 1804-1808

E siamo arrivati con il nostro viaggio attraverso il nudo agli anni a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Sono gli anni del Grand Tour, la moda aristocratica e colta che consiste in un viaggio di studio per pittori che si recano nei luoghi di maggior ispirazione per il genio artistico (prima fra tutti l’Italia). Anni di approccio positivo e metodologico, anche all’arte, anni di esperimenti enciclopedici. Sono gli anni di Winckelmann, che elaborò il primo autentico tentativo di comprensione e sistemazione dell’arte antica, sopratutto greca, e che conferì dignità intellettuale proprio al mito del classico nato nel Rinascimento.

Il nudo in questo contesto assunse un valore particolare. Da un lato fu l’esempio della conoscenza e del concetto d’una verità davvero nuda. Senza finzioni, filtri o superflui ornamenti, priva di tutto ciò che è grazioso, manierato e artefatto. Dall’altro si riportò al valore fondamentale della nudità greca, quella virtù filosofica e morale, quella religione della bellezza come pienezza umana, che i tempi nuovi avevano ripreso a sognare.

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Non è questione di stile né di gusto, per la cerchia intellettuale illuminista così come per quella protoromantica. Forse una funzione l’arte deve averla, una ragion d’essere, come sintesi di un sistema di valori che essa esprime e in cui la società può riconoscersi. In questo senso si parla di Grecia, anziché genericamente d’antico. La ripresa programmatica del classico in Francia, pur poggiando ovviamente sul mito artistico di Roma e su una trama storica di intensi rapporti culturali, si vuole tutta moderna, come una sorta di rifondazione in grado di tracciare il futuro. Dice Atene, dice Roma, ma intende Parigi. Ed è ciò che la farà amare tanto in ambito rivoluzionario quanto dal Napoleone imperatore.

David e Goya

nudo all'epoca dei lumi
Jacques-Louis David, studio di nudo dal vero, 1780

Una vera e propria marea di pittori e scultori francesi d’alto livello stabiliranno un vero e proprio clima visivo. Clima in cui il sensibile naturale si incarna nelle forme d’una grecità spesso ai limiti della stilizzazione, inconsapevole della propria retorica incombente. In questo brodo di coltura matura il genio di Jacques-Louis David.

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Francisco Goya, la Maya desnuda, 1800

Il percorso di David è quasi perfettamente parallelo a quello di Francisco Goya, il cui sguardo feroce e mimeticamente rapace ha una sola piena occasione per misurarsi con il nudo. La Maya desnuda, dipinto alla fine del XVIII secolo. Questo nudo femminile prende le mosse da una posa d’evidente eco tizianesca, ma si carica d’una verità carnale struggente, d’una sensualità molto esplicita. Il tema qui è il nudo in se stesso, senza mediazioni di sorta. Scelta confermata anche dalla raffigurazione nel pelo pubico che fino ad allora era interdetto nelle immagini accademiche.

Il nudo anatomico

nudo all'epoca dei lumi
Ercole Lelli, scorticati, 1733-34

Se con Goya siamo al centro della concezione totalmente pittorica del nudo, l’esperienza della ➡ceroplastica cambia le cose. Tecnica utilizzata da artisti come Gaetano Zumbo e Clemente Susini passando per Ercole Lelli, dimostra come progressivamente, nel corso del secolo, l’anatomia dipenda sempre meno dalla cultura artistica. E sempre di più dalla scienza medica. Zumbo fu un grande scultore barocco dedito alla stravaganza visiva sotto forma di strumento anatomico. Lelli invece nacque in seno alla cultura artistica dell’Accademia bolognese, ma con gli Scorticati lignei per il Teatro anatomico dell’Archiginnasio fece della scultura anatomica una pratica legata alla cultura medica.

Canova

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Antonio Canova, le tre Grazie
Ma non si può non parlare si scultura e di nudo senza citare lui, Canova, astro di prima grandezza della cultura artistica internazionale, considerato il massimo scultore del suo tempo e un degno emulo dei grandi del passato. Il maestro del Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore, della ➡ Paolina Borghese Bonaparte come Venere Vincitrice, delle Tre Grazie, è sopratutto un genio nel rifinire le proprie sculture. Il lavorare sapiente che fa sulla pelle della statua, quel conferirle una lucentezza carnale, è il massimo pregio nello stile di Canova, confermato da due episodi famosi. Nel primo vedendosi ritratto nell’eroico nudo marmoreo, Napoleone ritenne che non fosse decoroso per un imperatore mostrarsi nudo al popolo, e ordinò che l’opera non venisse esposta. Il secondo avvenne nel 1845 quando Gustave Flaubert incontrò in Italia una versione di Amore e Psiche e ne rimase estasiato, baciando la statua.

Scopri di più

Questo post fa parte di un percorso attraverso il nudo. Se ti interessa leggere altro segui l’etichetta #ilnudonellarte.

C.C.

Fonti: Storia generale del nudo, Flaminio Gualdoni, Skira, Milano, 2012

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