
No, non sono impazzito, oggi vi voglio parlare degli “apparati”. Perché? vi chiederete voi, di che si tratta? Gli apparati sono molti frequenti nella storia italiana soprattutto a partire dal XVI secolo. Stanno a significare, addobbi, ornamenti, paramenti e in generale tutto ciò che serve ad abbellire una festa o uno spettacolo. In anni recenti, le grandi decorazioni effimere che intorno al XVI secolo si diffusero nelle principali città europee hanno suscitato sempre più l’interesse di storici dell’arte e del teatro.
Si sono potuti così identificare varie funzioni, una tipologia, un repertorio iconografico e uno sviluppo proprio degli apparati festivi nella storia delle città. Dalle semplici decorazioni tardomedievali, alle elaboratissime invenzioni manieristiche e barocche. Dalle più ridondanti soluzioni rococò e neoclassiche, alla progressiva involuzione, fra Otto e Novecento. Proprio quando la rivoluzione industriale affermò nuovi e più diffusi sistemi di comunicazione stravolgendo l’uso dello spazio e del tempo nelle città.
Gli apparati si manifestarono tramite un linguaggio proprio, una serie di moduli architettonici, figurativi e plastici. Erano realizzati in materiali provvisori, sovrapposti ai monumenti della città reale. Animati da una serie di eventi gestuali, sonori, d’ingegneria meccanica o pirotecnica. Illustrati da un apparato verbale che dai cartelli scritti, ai discorsi, alle successive relazioni a stampa spiegò forme e significati, oltre lo spazio e il tempo della festa. Ecco allora che una città irreale e fantastica viene componendosi nel tempo, di apparato in apparato, di festa in festa, sopra la città reale. Si disegnando topografie ideali e utopie progettuali che di fatto condizionando e segnando lo sviluppo effettivo dello spazio urbano e del suo arredo.
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Il modello originario e più divulgato di celebrazione è la processione, il corteo, che in occasione di eventi religiosi o civili percorre la città. Certo è da questo prototipo cerimoniale e dai primi addobbi con drappi preziosi e con baldacchino, che si svilupparono le principali tipologie di apparati. Elementi architettonici posticci sovrapposti agli edifici in pietra illustrarono i principali nodi urbani. Apparati fissi o semoventi vennero collocati lungo il percorso. Nel modello più antico, gruppi umani in costume animano le strutture con quadri viventi o improvvise apparizioni volanti. Furono in particolare gli ingressi in città dei sovrani a stimolare una sempre più elaborata organizzazione di addobbi e un insieme sempre più articolato di apparati. Tutte le arti e i mestieri parteciparono all’impresa, il programma fu spesso di un uomo di lettere e la regia di un grande artista di corte.

Nel Cinquecento il modello è ormai sviluppato e nel 1565 Vincenzo Borghini, letterato fiorentino esperto di feste, in occasione delle nozze di Francesco de’ Medici e Anna d’Austria analizzò tutte le diverse tipologie. Creò così il modello classico che da quel momento verrà usato in Italia. L’arco trionfale è per Borghini l’apparato preferito. Del tutto bandita è la presenza di “persone vive e vestite e abbigliate in abito di virtù etc. che pàr magra invenzione”. La fissità di tele dipinte e statue di gesso prevale sulla combinazione di quadri viventi e azioni di movimento.
Il ricordo dell’antico trionfo romano è presente in Italia già dal XIV secolo (1326, Ingresso di Castruccio Castracane a Lucca). Splendidi archi e carri trionfali compaiono in opere letterarie (Boccaccio, Petrarca), figurative (Laurana, Mantegna, Piero della Francesca) secondo un tipico processo di propagazione culturale. Fra Roma e Firenze ai primi del Cinquecento si afferma il modello del corteo principesco, come Possesso della città, Ingresso. Famoso resta quello di Leone X a Firenze nel 1515 con apparati di Andrea del Sarto, Jacopo Sansovino, Piero di Cosimo, Antonio da Sangallo e Pontormo. Ma il corteo è anche Mascherata in costume che evoca le vittorie degli antichi imperatori o le Genealogie degli Dei Gentili.

Il primo grande monarca dell’epoca moderna, Carlo V sovrano del Sacro Romano Impero, nei numerosissimi viaggi propaga e impone questo modello in ogni nazione.
A Roma l’imperatore giunse nel 1536 e Paolo II gli offrì in omaggio l’antico percorso stesso della Via Triumphalis. Apparati in questo caso sono i monumenti stessi, i ruderi dell’antichità, per l’occasione liberati dalle sovrastrutture medievali (ordinatore degli allestimenti è Antonio da Sangallo). Più di duecentocinquant’anni dopo, ai tempi della repubblica romana, la città offrì un simile omaggio a rivoluzionari capitolini e truppe francesi rinnovando i fasti consolari. Gli apparati neoclassici di Bargigli e Camporesi tendono allora a nascondere le architetture cattoliche e barocche. Il modello questa volta si è perfezionato a Parigi, con gli altari della patria e le figurazioni classiche che Louis David ha inventato per le prime feste della rivoluzione.

Roma antica e i suoi monumenti s’impongono quindi all’immaginario collettivo in tutta Europa, alimentando i nuovi sogni imperiali dei Valois, degli Stuart, dei Borboni, degli Asburgo, di Napoleone, della Restaurazione. L’epoca barocca segnò il trionfo dell’effimero urbano. Stupefacenti e ben noti a Roma gli apparati allestiti da artisti come Bernini, Schor, Rainaldi, Fontana. A Parigi, le feste pubbliche del Re Sole hanno per coordinatori Vigarani, Bérain, Le Brun. Anche le occasioni si moltiplicarono: esequie, nascite regali, canonizzazioni e vittorie.
Spesso un evento risuonò di città in città, di nazione in nazione, di festa in festa. E ovunque, in ogni stile e per ogni fine ideologico, la macchina festiva inscena un repertorio quasi stabile di figurazioni mitologiche o religiose, di emblemi e personificazioni. Sopra supporti stabili o posticci in grandi spazi aperti, con tecniche di assemblaggio vicine a quelle dell’oreficeria, dell’arte del mobile e del giardino, si accumulano piramidi, obelischi, gradini, colonne, statue, cartelli, fregi, quadri, pitture monocrome, finti marmi, montati a comporre una gigantesca scenografia urbana.

È una “città regia” quella che nei disegni, nei quadri, nelle incisioni rimasteci appare, una visione illusionistica molto vicina a quella che nel chiuso dei teatri presenta la scena tragica, nella versione mutevole e fantastica propria del melodramma. Anche l’apparato urbano sempre più si drammatizza con l’apporto della musica e del fuoco. Nel Settecento il gioco pirotecnico trionfa e la macchina architettonica splendente è destinata ad animarsi bruciando, unendo le due scene (la festa e il teatro) come in un gioco di scatole cinesi. Esemplari le macchine di Servandoni per Luigi XV e gli apparati annuali a Roma per le feste della Chinea disegnati da artisti come Valvassori, Specchi, Le Lorrain, e Posi.

Fra neoclassicismo, eclettismo e accademismo si consuma l’arte dell’addobbo, dell’apparato scenografico, delle architetture pirotecniche nell’Ottocento. A Roma operano Valadier, P. Camporesi il Giovane, Poletti, Vespignani, Erzoch e Moretti. Scenari operistici s’innalzano per le “Girandole” al Pincio, a Castel Sant’Angelo e al Gianicolo. Poi, anche in Italia la tradizione si estinse.
La fine degli apparati
Ma ancora nel nostro secolo un ultimo programma imperialistico ricorre al mito di Roma antica, si richiama alla tradizione degli apparati civili con la pretesa di reinventare un’arte perduta. Nel 1942 l’VIII Triennale delle arti decorative dedicò una sezione alle Architetture delle cerimonie per una “rievocazione documentaria e spettacolare del modo di apparare italiano”.
Vi si predicò il nuovo stile razionalistico e, dichiarato obsoleto il repertorio visivo della festa, si progettarono puri ritmi di forme e di colori in grado di vibrare all’unisono con il cuore oceanico delle folle. Ma gli autori stessi riconobbero che l’architettura delle cerimonie trovò in epoca moderna un rifugio estremo nell’allestimento di padiglioni espositivi, di apparati per mostre, di scenari pubblicitari. Se in anni recentissimi poi, una pratica dell’effimero ha percorso le nostre città, nuovi supporti cinematografici ed elettronici hanno definitivamente sostituito l’antico decoro degli apparati. Ma ancora a Roma, nel 1979, il gigantesco schermo per il Napoléon di Gance s’innalza fra il Colosseo e l’arco trionfale di Costantino, in un evento culturale entrato nella storia della città.
C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui