Giorgio de Chirico, un pittore metafisico

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Giorgio de Chirico

Giorgio De Chirico nacque a Volo di Tessaglia, in Grecia, il 10 luglio 1888, ma era un italiano ed è annoverato tra i più importanti pittori del nostro Paese. Il padre era ingegnere ferroviario. I treni, il vapore e la ferrovia, entrarono naturalmente nella personale mitologia del pittore. Giorgio aveva un fratello minore, Andrea Francesco Alberto, che prenderà poi il nome d’arte di Alberto Savinio. Il fratello si distinguerà per il suo talento di scrittore, compositore e pittore. Alla morte del padre, avvenuta nel 1905, era ormai chiara la passione che legava il giovane De Chirico all’arte figurativa.

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Sostenuto dalla madre, affettuosa quanto ferma definitrice dei destini dei due fratelli (Giorgio la chiamava “mamma baronessa”), l’artista si trasferì a Monaco. Nel centro bavarese, Giorgio seguì corsi dell’Accademia, come quelli di Chiaroscuro, per lui decisivo, e di Pittura. Visitava anche regolarmente la Neue Pinakothek, il museo d’arte moderna voluto da Lodovico I nel 1849. Furono anni decisivi per il pittore che entrò in contatto con la serietà e il rigore dell’insegnamento tecnico e con l’ambiente giovanile, ricco di umori e di cultura, di discussioni e di lettura. In questa stagione conobbe le attività di Klinger e di Böcklin, due dei principali esponenti del simbolismo tedesco, che furono decisivi per il suo percorso artistico.

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Dopo questo periodo, De Chirico cambiò stile di vita e viaggiò molto. Soggiornò a Firenze tra il 1909 e il 1911, e qui cominciò a delinearsi quella che poi sarebbe stata la sua cifra stilistica. In questo percorso di crescita, che maturava lentamente e si definiva con fatica, un contributo importante gli venne dall’ambiente fiorentino, e in particolare dall’opera dello scrittore, poeta e aforista Giovanni Papini, impegnato nell’interpretare e raccontare la realtà in maniera inusuale. Ma quello che attrasse De Chirico nelle letture di Papini, furono i racconti che mescolavano descrizione e avvenimento a meditazione e spiegazione.

Apollo del Belvedere
Giorgio de Chirico, Chant d’amour

Il frutto di queste suggestioni, il pittore lo colse a Parigi tra 1911 e il 1915, dove rimase fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nella capitale francese si dedicò a un apprendistato difficile, perché ciò che cercava era estraneo alle sperimentazioni d’avanguardia in voga in quegli anni. De Chirico studiò e lesse molto, osservando sia il cubismo sia quanto proponevano artisti come Maurice Denis, Paul Gauguin e Henry Rousseau. A Parigi ebbe i suoi primi contatti pubblici. Al Salon d’Automne, nel 1912, con tre tele, poi l’anno successivo all’altra rassegna in calendario, il Salon des Indépendents dove propose La melanconia di una bella giornata, buon esempio dello stile a cui l’artista aspirava. De Chirico non aveva a disposizione una critica che ne definisse in modo adeguato le intenzioni, tranne quella del poeta Apollinaire, a cui seguirà, con più adesione lo scrittore, poeta e pittore Ardengo Soffici.

Giorgio de Chirico e Felice Casorati, riflessioni sul ritrattismo
Giorgio de Chirico, ritratto di Apollinaire

Proprio Apollinaire definì alcuni caratteri dell’artista che sarebbero state avvisaglie di tutto il suo lavoro successivo. L’indifferenza per l’esattezza formale, le suggestioni intinte di cupo romanticismo, le figure allusive e la costruzione a sorpresa dei suoi dipinti. L’intenzione era di fare un’arte in cui l’emozione venisse ricreata per lo spettatore attraverso la stranezza degli oggetti messi in scena. Il risultato era, spesso e volentieri, una composizione allegorica, in cui il quadro narrava le ragioni di una pittura modernamente intesa. Comparve in questi anni il manichino, una delle immagini topiche di De Chirico, che richiamava aspetti del lavoro del pittore e diventò un vero e proprio personaggio. Il manichino è significativo nelle sue pose quanto libero da espressioni psicologiche troppo legate alla presenza umana.

Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico, le muse inquietanti

Arriviamo dunque al periodo più cruciale nella vita e nella formazione dell’artista. Nel 1915, De Chirico si arruolò, insieme al fratello Savinio, a Ferrara, città in cui convivono nuovo e antico, presenze umane e ambienti storici, cultura cattolica e realtà ebraica. Queste contrapposizioni offrirono al pittore materia viva su cui lavorare per ricavare le proprie opere.

Nella città emiliana strinse molte amicizie importanti tra cui quella con il poeta Corrado Govoni, o quella con Filippo De Pisis, allora giovanissimo poeta, o ancora la difficile ma proficua amicizia con Carlo Carrà, a sua volta alle prese con una propria maturazione artistica. Qui, nella stagione che sarà chiamata “metafisica”, per indicare quel lavoro sulla realtà che cerca oltre i confini più banali e accertati, De Chirico dipinse, scrisse e polemizzò, preparandosi, con l’aiuto e il sostegno degli scrittori Soffici e Papini, a trarre i frutti della sua raggiunta maturità artistica.

L’artista riuscì ad affermarsi e a ottenere molti riconoscimenti anche se dovrà attendere ancora qualche anno per acquisire il successo economico. Non va dimenticata l’esperienza da collaboratore che fece nella rivista Valori Plastici, dove interventi e polemiche lo posero più direttamente a contatto con la realtà culturale del tempo, attenuando, anche in pittura, simbolismi e allegorie troppo complesse da decifrare. Diverse opere tra il 1920 e il 1922 segnarono una trasformazione nell’opera di De Chirico. Dalla classicità evocata da protagonisti fantastici, quali Mercurio, Apollo ed Edipo, passò alla Roma contemporanea. Iniziò a raccontare stanze, terrazze, con persone mescolate a statue e resti
archeologici, trattando sempre più spesso il tema dell’autoritratto, fra narcisismo e coscienza del proprio ruolo.

Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico, autoritratto

La sua pittura continuò un percorso di cambiamento. Non dipinse più grandi piazze assolate ma nature morte con simboli geometrici e cibo. De Chirico divenne dapprima figura di precursore di temi che saranno cari ai surrealisti, poi proprio da loro fu contestato per la fissazione sulle medesime tematiche, vietando una qualsiasi forma di evoluzione. Pur tra incomprensioni e rifiuti, il nome dell’artista divenne molto conosciuto, realizzando in Italia diverse mostre personali. Dal 1925 al 1931 fu di nuovo a Parigi, dove rilasciò dichiarazioni polemiche nei riguardi dell’arte all’epoca promossa in Italia. Dipinse in questo periodo alcuni fra i suoi quadri più importanti, a conferma che, se la stagione degli anni Dieci fu la più culturalmente ricca, non finì lì il suo lavoro, che ebbe un lungo periodo di grande qualità.

Nel 1936 e 1937 si stabilì a New York, dove la galleria Julien Levy espose le sue opere. Collaborò inoltre con le maggiori riviste di moda del tempo, Vogue e Harper’s Bazaar e lavorò come decoratore d’interni. Realizzò per esempio una sala da pranzo presso la Decorators Picture Gallery, assieme a Pablo Picasso e Henry Matisse. L’attività di De Chirico si fece sempre più fitta, non solo per le mostre e le rassegne in Europa e America, ma anche per l’attività di scenografo, illustratore e prolifico pittore nel mercato internazionale.

In quegli anni realizzò molti ritratti, una serie numerosa di vedute veneziane, temi di varia letteratura, e rifacimenti, copie, rivisitazioni di opere metafisiche del passato.
Morì a Roma il 20 novembre del 1978, al termine di una lunga malattia. Pochi mesi prima, in occasione del suo novantesimo compleanno, era stato tardivamente celebrato in Campidoglio. Toccò infatti all’America l’avvio di una decisa e attenta rivalutazione del pittore, tenuto in disparte dalla critica italiana per lo scarso interesse che suscitava la sua produzione finale.

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C.C.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

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