
La biografia di Frida, senza la quale sarebbe impossibile capirne il lavoro artistico che ne è la registrazione meticolosa e ossessiva, è presto detta. Nacque a Coyoacán, una delegazione di Città del Messico, nel 1907. Era figlia di Guillermo Kahlo, un fotografo tedesco nato a Pforzheim, nell’odierno Baden-Württemberg, da una famiglia ebraica di origine ungherese, e di Matilde Calderón y González, un’agiata messicana di origini spagnole e amerinde. Da subito la vita di Frida fu segnata da problemi di salute. Forse affetta da spina bifida, fu colpita dalla poliomielite a sei anni e camminò sempre con grandi difficoltà. Fin dall’adolescenza rivelò un carattere molto forte, insieme a una particolare attitudine artistica e a uno spirito libero e appassionato, avverso nei confronti di ogni convenzione sociale.

Studiò dapprima al Colegio Alemán, una scuola tedesca, per poi iscriversi nel 1922, volendo formarsi come medico, alla Escuela Nacional preparatoria. Qui conobbe un gruppo di studenti chiamati i Cachuchas, fautori del socialismo nazionale, e iniziò a dipingere i ritratti dei compagni di studio per passatempo. Il gruppo ammirò il rivoluzionario José Vasconcelos e si occupò nello specifico di letteratura; tutto ruotava attorno alla figura di Alejandro Gómez Arias, studente di diritto e giornalista, capo spirituale e ispiratore dei Cachuchas e di cui Frida si innamorò. Coetanea della rivoluzione messicana, al finire di un’adolescenza che la vide quindi protagonista vivace e anticonformista della svolta democratica nel suo paese, nel 1925 Frida andò incontro a uno spaventoso evento che, alla lettera, le frantumò il corpo e la vita in due.
Infatti quando l’artista aveva appena diciotto anni, ebbe la vita spezzata da un terribile incidente d’autobus. Si ruppe in tre punti la colonna vertebrale, si fratturò diverse ossa e un corrimano dell’autobus le entrò nel fianco trapassandole il corpo. A farla sopravvivere fu la passione per la vita, e la pittura divenne la terapia che le diede la forza di affrontare trentadue interventi chirurgici. Da qui in avanti la sua vita sarà un calvario di sofferenze, ricoveri ospedalieri e operazioni mediche, che non le impediranno comunque di vivere in prima persona e con intensità i più importanti avvenimenti politici di quegli anni e una serie di tormentose passioni amorose. Frida inoltre diede vita a uno straordinario corpus artistico contenente più di duecento opere pittoriche, tutte rigorosamente a fuoco su di lei. Uscita dall’ospedale infatti fu obbligata ad anni di riposo nel letto di casa, con il busto
completamente ingessato.
Questa condizione la portò a concentrarsi nella lettura di libri sul movimento comunista e a dipingere. Il primo lavoro di Frida fu un autoritratto, che regalò al ragazzo di cui era innamorata. I genitori, vista la nuova passione della giovane donna, decisero di donarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto che le permettesse di guardarsi, e le comprarono dei colori per dipingere.
Cominciò così la sequenza di autoritratti nei confronti dei quali l’artista stessa affermò: “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio”. Una volta tolto il gesso riuscì a camminare di nuovo, ma con dolori che dovette sopportare per tutta la vita. Deciso quindi che l’arte era la sua strada Frida, per partecipare economicamente al sostegno della sua famiglia, un giorno portò i propri dipinti al più famoso pittore dell’epoca in Messico. Era Diego Rivera, e ci tenne ad avere la sua opinione.

Lo stile moderno di Frida colpì molto Rivera, tanto che decise di prenderla sotto la propria ala protettrice, guidandola nella scena culturale e politica messicana. Nel 1928 la giovane donna si iscrisse al Partito Comunista Messicano, diventandone un’attivista. Assistette a molte manifestazioni innamorandosi nel frattempo del suo mentore, Diego Rivera. Cosciente dei continui tradimenti a cui sarebbe andata incontro, nel 1929 decise di sposarlo. Ma Frida era una donna forte e seppe rispondere alle sofferenze sentimentali con numerosi rapporti extraconiugali che anche lei si concesse, incluse diverse esperienze omosessuali. Tra i suoi amanti figurarono, fra i tanti altri e altre, il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta André Breton.

Fu inoltre amica e probabilmente amante di Tina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti. Forse esercitarono un certo fascino su Frida Kahlo anche la russa Aleksandra Kollontaj, che visse in Messico dal 1925 al 1926 come ambasciatrice di Mosca, la ballerina, coreografa e pittrice Rosa Rolando e la cantante messicana Chavela Vargas. Il marito Rivera fu poi chiamato negli USA all’inizio degli anni Trenta per realizzare il dipinto murale all’interno del Rockefeller Center di New York, e gli affreschi per l’Esposizione universale di Chicago e Frida lo seguì. Durante il soggiorno a New York la donna rimase incinta, ma il suo fisico, inadeguato a un tale evento, le procurò un aborto spontaneo. Questo tragico episodio la turbò molto e decise di tornare in Messico col marito.

I due artisti stabilirono di abitare in case separate, ma unite da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi. Nel 1938 Marcel Duchamp, che insieme a Kandinsky, Mirò e Tanguy, fu un suo fervente estimatore, la ospitò a Parigi e l’aiutò a montare la sua prima mostra europea. La mostra fu decisa da Breton, che volle fare della pittrice la bandiera del surrealismo internazionale, nonostante fosse evidente che la Khalo non volesse essere contenuta in nessuna gabbia teorica e tanto meno in una corrente artistica. Nel 1939, a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida, divorziarono. Malgrado i tradimenti però Rivera non smise mai di amarla e un anno dopo tornò da Frida con una nuova proposta di matrimonio che lei accettò anche se con diverse riserve. E così i due artisti si risposarono nel 1940 a San Francisco.

Il rapporto tra la Kahlo e Rivera però non fu solo d’amore, ma anche di scambio creativo. Frida infatti assimilò da Diego uno stile naïf, che la condusse a dipingere piccoli autoritratti influenzati dall’arte popolare e dalle tradizioni precolombiane. Il suo scopo era, utilizzando soggetti estratti dalle civiltà native, di dichiarare la propria identità messicana. Nel 1953 Frida Kahlo fu tra coloro i quali firmarono per richiedere la grazia per i coniugi Rosenberg, comunisti americani condannati a morte e poi giustiziati a New York per supposto spionaggio a favore dell’URSS. Ma per la Kahlo si avvicinava inesorabilmente la fine. Le sue condizioni di salute si aggravarono e pochi anni prima della sua morte all’artista venne amputata la gamba destra, ormai in cancrena. La pittrice si spense per un’embolia polmonare a 47 anni nel 1954.
Fu cremata e le sue ceneri furono trasportate nella sua Casa Azul. Le ultime parole che scrisse nel diario furono: “Spero che la fine sia gioiosa e spero di non tornare mai più”. Le opere della Khalo, dopo un periodo di oblio che andò dal 1954, anno della sua morte, al 1977, quando i circuiti internazionali la riscoprono, hanno raggiunto oggi quotazioni da più di un miliardo di dollari. Dal 1958 Città del Messico le ha dedicato un museo ricavato nella Casa Asul di Avenida Londres dove l’artista nacque, visse e morì e che Rivera donò alla città alla morte della moglie.
Di lei André Breton, teorico della scuola surrealista, scrisse: “L’arte di Frida Khalo è un nastro intorno a una bomba”. Mentre Pablo Picasso, in una lettera inviata a Diego Rivera disse: “Né Derain, né tu, né io siamo capaci di dipingere una testa come quelle di Frida Khalo”. Per lei la pittura rimase comunque un’incidente di percorso, un’esigenza ben espressa dall’artista quando disse: “Dipingo la mia realtà. La sola cosa che so è che dipingo perché ne ho bisogno e dipingo tutto quello che mi passa per la testa”.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui