
Scene di mercato, botteghe di generi alimentari, cucine e dispense furono raffigurate sempre più spesso nella storia dell’arte a partire dalla metà del Cinquecento. Questi temi erano una specie di palinsesto per molti generi minori che poi nei decenni successivi si sarebbero affermati. Nei dipinti di questo tipo si può ben capire la radice comune che unisce la natura morta con temi popolari e scene di vita quotidiana. All’interno delle opere con mercati e cucine potevano essere inseriti diversi livelli di interpretazione.
L’aspetto satirico, grottesco o lascivo; l’intento moralistico con il contrasto tra virtù e vizio, con l’allusione alla dimensione di vanitas cioè del tempo che passa per tutti e che inesorabilmente ci porta alla morte, oppure con il conflitto tra carnevale e quaresima.
Possiamo trovare in queste tele anche allegorie dei sensi oppure un riferimento alle stagioni dell’anno con i diversi lavori e i diversi prodotti della terra. Ma per quale motivo questo genere pittorico si diffuse proprio a partire dal Cinquecento? forse c’è un collegamento con il materialismo quasi capitalista che da quel periodo storico mise al centro dell’attenzione i valori legati alla produzione, alla merce, al commercio e allo scambio. Un materialismo che si affermò in Europa con l’ascesa della borghesia a partire dal XVI secolo.
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Fautori di questo tipo d’arte furono, non a caso, i fiamminghi Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer, provenienti da una delle zone più laboriose d’Europa: le Fiandre. Il Banco di macelleria di Aertsen, datato 10 marzo 1551, può considerarsi il progenitore della rappresentazione di scene di mercato. Non manca neanche qui un episodio religioso sullo sfondo, una Fuga in Egitto, che entra in contrasto con la grande esibizione di carne messa in primo piano, creando un parallelo simbolico tra dimensione materiale e spirituale. L’elemento di storia che si ancorava alla rappresentazione di genere sparì già in opere successive dello stesso pittore. In questi dipinti l’eventuale contenuto religioso o morale non trovò più una chiara traduzione figurativa, ma venne del tutto assorbito nella scena raffigurata.

Nell’Italia settentrionale diversi pittori seguirono l’esempio dei due artisti fiamminghi: primo fra tutti il cremonese Vincenzo Campi, con le sue cinque tele destinate alla sala da pranzo del castello di Kirchneim, commissionate dal banchiere Hans Fugger intorno al 1580. L’opera di questo ciclo intitolata Fruttivendola mette in mostra frutta e verdura in maniera quasi scientifica nella resa dei dettagli, dei colori e delle forme. Un repertorio figurativo simile si ritrova anche in un piccolo numero di opere realizzate verso la fine del Cinquecento dai pittori bolognesi Bartolomeo Passerotti e Annibale Carracci, che affrontarono la rappresentazione di macellerie.

Passerotti lo fece in un dipinto in cui il soggetto viene declinato in chiave grottesca: le due figure, dalla fisionomia rozza e ammiccante, esibiscono la loro merce con gesti caricati che forse hanno allusioni oscene. I due bottegai sembrano quindi incarnare la dissolutezza e la lascivia il che ci fa pensare a un intento morale dell’opera.
Annibale Carracci invece si cimentò con il tema della macelleria in due tele giovanili in cui il grottesco e la caricatura spariscono completamente, manifestando un interesse per la realtà obiettiva delle cose e una composizione monumentale che conferisce alla scena una nobiltà antica. Come vediamo bene in questa macelleria oggi conservata alla Christ Church Picture Gallery di Oxford.

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Questo post fa parte di una serie di piccoli giochi di curiosità dedicati alle nature morte. Leggi altro seguendo l’etichetta #naturemorte(nonmorte)
C.C.
Fonti: La natura morta, Luca Bortolotti, Giunti editore, Prato, 2003