
Con il termine Barbus viene indicato un piccolo gruppo di giovani pittori, allievi di Jacques-Louis David che, tra il 1796 e il 1801 costituirono una specie di setta artistica. Fondata su ideali estetici orientati verso forme d’espressione “primitive”. Secondo Delécluze, principale fonte sui Barbus, il capo carismatico del gruppo era Maurice Quay e gli altri esponenti principali erano Lucile Messageot, Jean-Pierre Franque, Joseph-Boniface Franque, Jean Broc, Antoine-Hilaire-Henri Périé, Guillaume-François Colson, e gli scrittori Jean-Antoine Gleizes e Charles Nodier.
Un’ispirazione che parte da Jacques-Louis David
La loro presenza nell’atelier di David coincise con il momento in cui l’artista realizzò le Sabine verso il 1797-99, che segnò il cambiamento tematico e stilistico del pittore verso un’estetica più “grecizzante”. I Barbus estremizzarono le posizioni del maestro fino al rifiuto della produzione artistica moderna e all’adesione incondizionata allo stile greco più antico, rifacendosi ai modelli della pittura su vaso precedenti all’arte di Fidia, il celebre scultore e progettista del Partenone. Inoltre questi artisti arrivarono a indossare costumi eccentrici ispirati ai vestiti dei greci antichi, attirandosi presto i fischi e gli insulti dei contemporanei.
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Ammiratori di Omero, della Bibbia e dei Canti di Ossian, i Barbus auspicarono il ritorno a una purezza primitiva dell’arte, a un gusto semplice, segnato in pittura da forme ampie e armoniose, da ombre leggere, dall’importanza attribuita alla linea. Inoltre, esibendo atteggiamenti anticonformisti e ritirandosi a vivere a Chaillot, in un vecchio convento abbandonato, secondo un modello di semplicità quasi religiosa, i Barbus provarono di unire gli ideali estetici del primitivismo con una riflessione sulla funzione dell’arte nella società dell’epoca.
Al rinnovamento della pittura essi associarono infatti l’ideale utopico della rigenerazione dei costumi. Con queste idee e questi comportamenti i Barbus hanno lasciato una traccia nella storia dell’arte, mentre poche e scarsamente significative sono le opere giunte fino a noi.

Le opere del gruppo
Di Maurice Quay si ricorda un quadro forse mai terminato, Patroclo che restituisce Briseide ad Agamennone, mentre è conservato, ma non di certa attribuzione, un Ritratto di giovane al Museo Granet ad Aix-en-Provence. Di Lucile Franque sono state individuate due possibili opere: La famiglia Messa-geot-Charve e un Ritratto di Gleizes. Le tendenze del gruppo sono però documentate da due opere di J. Broc: la Scuola di Apelle, ecletticamente ispirata a Raffaello, e la Morte di Giacinto. C’è un altro dipinto che ci può aiutare a comprendere meglio l’estetica di questi artisti che portarono il neoclassicismo ad estreme conseguenze. Si tratta di Ossian canta i suoi versi, realizzato da Paul Duqueylar che in effetti non aderì direttamente ai Barbus, ma fu un simpatizzante.

Alla morte del carismatico Maurice Quay avvenuta nel 1802, il gruppo inevitabilmente si separò. Di lui ci resta un ritratto realizzato da Henri-François Riesener che ci restituisce un volto irrequieto. Gli occhi arrossati e lucidi, carichi di una follia geniale. Vedendo la sua immagine riusciamo a percepire la fiamma carismatica che seppe attirare a sé gli altri artisti del gruppo.

Una curiosità
Pensate che secondo alcuni il termine “rococò” fu coniato da Quay nel 1797 durante il suo apprendistato nello studio di David. Originariamente il termine fu usato per ridicolizzare uno stile completamente opposto ai gusti dell’artista. Gli altri Barbus, dopo lo scioglimento della setta, si dedicarono a una carriera pittorica di scarso rilievo, senza lasciare tracce realmente significative. Con la morte di Quay la fiamma si era spenta per sempre.
C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui