
Lo scultore chiamato Maestro di Olimpia molto probabilmente all’epoca della costruzione del tempio di Zeus, nel V secolo a.C., doveva essere un artista noto e maturo data l’importanza dell’edificio. Si trattava infatti di decorare il tempio di Zeus a Olimpia, città della Grecia, sede dell’amministrazione e dello svolgimento dei celebri giochi “olimpici”, ma anche luogo di culto di grande importanza. Sono sculture dai morbidi nudi, dal ritmo compositivo serrato e dal forte pathos dei gesti, elementi che fanno pensare all’influsso del pittore di ceramiche Polignoto che tanta importanza ebbe nello sviluppo dell’arte greca antica.
Il ciclo scultoreo si compone di dodici metope, sei sul pronao e sei sull’opistodomo, rispettivamente lo spazio che stava davanti e dietro la cella del tempio. Infatti le metope esterne che circondavano il tempio lungo tutti i suoi lati erano lisce. Queste dodici metope raccontano le fatiche di Ercole, non come fosse una favola, ma con una serietà drammatica che mette in risalto il valore dell’eroe. Ercole è per lo più rappresentato nel momento della lotta che lo vede scontrarsi con i grandi nemici dell’umanità d’allora. Le sue sono battaglie portate avanti in solitudine. Il messaggio che si vuole trasmettere è che l’eroe viene premiato con la vittoria e l’immortalità, confermata dalla silenziosa presenza delle dea Atena.
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Le sculture proseguono nei due frontoni con altre storie mitologiche. Sul frontone orientale si racconta di Oinomaos, re di Pisa (non la nostra Pisa, ma l’omonima cittadina del Peloponneso in Grecia), avvertito da un oracolo che sarebbe morto per mano dello sposo della figlia Ippodamia, decise di sfidare i pretendenti a una corsa di carri. Riuscì a batterlo Pelope che secondo una versione della leggenda era sostenuto da Poseidone dio dei mari, secondo l’altra versione corruppe l’auriga del re, che sostituì delle parti del carro, provocando la caduta e la morte di Oinomaos.

Nel frontone vediamo i preparativi per la gara, con al centro Zeus circondato da entrambi i lati da figure maschili e femminili, dai carri con i servi e dagli spettatori. I protagonisti sono tesi mentre aspettano il loro destino, e a questa tensione fanno eco le loro compagne e i personaggi minori. Le figure sono raccolte, isolate nella loro intimità. Nel frontone occidentale c’è rappresentata una Centauromachia. Il dio Apollo domina al centro della scena mentre ai suoi lati vediamo gruppi di centauri e lapiti in lotta tra loro. I lapiti erano un popolo antico che con la loro vittoria riuscirono a liberare la Tessaglia, regione della Grecia, dai centauri, mostri per meta uomini e per metà cavalli. Agli angoli estremi sono rappresentate figure femminili sdraiate.

Il Maestro di Olimpia, come molti altri artisti dell’antichità, è una figura sfuggente di cui poco si sa. A parlare per lui restano queste sculture che ci mostrano un’attenta cura nella caratterizzazione dei volti dei personaggi. Siamo ancora lontani dalla ritrattistica fisionomica che si avrà dal IV secolo a.C., ma possiamo già distinguere le tipologie di volto tranquillo, brutto, demoniaco, ecc. imprimendo alle opere valori morali che stanno alla base dell’arte greca.
Il brutto contro il bello, il bestiale contro l’umano, l’indemoniato contro il tranquillo.
Continua l’esplorazione
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui