
Della vita di Bosch conosciamo molto poco perché i documenti giunti fino a noi non ci raccontano nulla della sua formazione, dei suoi lavori e delle fonti a cui l’artista attinse per realizzare le sue opere. Le cose certe quindi sono ben poche. Una di queste è la nascita del pittore che sappiamo avvenne a ‘s-Hertogenbosch, Bois-le-Duc in francese, località che oggi si trova in territorio olandese, attorno al 1453. La sua famiglia, originaria forse di Aquisgrana, si era stabilita a ‘s-Hertogenbosch da almeno due generazioni.
Bosch respirò fin da subito un’aria artistica poiché sia il nonno Jan, sia il padre, Anton van Aken, esercitavano il mestiere di pittore. La prima volta però in cui Hieronymus viene citato in un documento ufficiale risale al 1474. Anno in cui firmò insieme al padre un pagherò di 25 fiorini renani, somma da restituire in tre rate. Sappiamo inoltre che nel 1481 Bosch era sposato con Aleyt, figlia dell’agiato borghese Goyarts van der Mervenne, dalla quale non ebbe figli.
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Dal 1486 in poi è citato come membro della confraternita della Vergine. La sua appartenenza a questo gruppo religioso non consente comunque di spiegare le fonti della sua fervida ispirazione. La confraternita riuniva membri laici e religiosi, devoti in particolare alla Vergine, aveva una sua cappella, consacrata alla Madonna, nella cattedrale di San Giovanni a ‘s-Hertogenbosch e spesso commissionava opere d’arte per decorarla. Dobbiamo dire però che Bosch non ricavò nessun vantaggio economico dalla sua posizione all’interno della confraternita, eseguendo molte altre commissioni che con essa non avevano nulla a che fare.

Ma come dicevamo, non abbiamo materiale sufficiente per tracciare con sicurezza la carriera del pittore. Le rare menzioni di incarichi conferiti all’artista non hanno potuto ricollegarsi a opere note. La sua evoluzione stilistica è stata ricostruita solo grazie a ipotesi fondate sull’analisi dei dipinti. Sicuramente Bosch fu un pittore molto prolifico, ce lo confermano il gran numero di opere giunte fino a noi e i documenti che ci descrivono i dipinti perduti. Basta pensare che già cinquant’anni dopo la morte dell’artista circolavano imitazioni sia dei dipinti, sia della firma di Bosch.
Nonostante la grande fama ottenuta dal pittore continuiamo oggi a non poter citare, tra le opere arrivate fino a noi, anche solo una che sia collegata a un documento certo, come un inventario o una ricevuta di pagamento. Allo stesso tempo quando siamo in possesso di documenti chiari, le opere citate non esistono più o almeno non sono individuate. Insomma un artista che per musei, storici dell’arte e studiosi, rappresenta una sfida e un rompicapo ancora da dipanare.

Come molti altri pittori Hieronymus ebbe sicuramente un’evoluzione stilistica nel corso del tempo. I dipinti più antichi di Bosch non si distinguono troppo per originalità, benché l’artista già vi introducesse elementi strani come personaggi dalle facce quasi caricaturali. Sì perché quando si parla di Bosch non si può fare a meno di parlare d’originalità. Nonostante l’artista abbia prodotto un gran numero di opere convenzionali per l’epoca, rappresentanti ad esempio episodi religiosi della vita e della passione di Cristo.
Quello che ancora oggi ci attira in questo pittore sono le scene diaboliche, un mondo fatto di sogni e di incubi con volti crudeli e ghignanti, fiamme, torture e invenzioni totalmente surreali. Il carattere distintivo essenziale di Hieronymus Bosch, rispetto a tanti altri artisti del suo tempo, è la vivacissima immaginazione. Questa lo portò a popolare le sue opere con creature strane, allo stesso modo bizzarre e spaventose, tali da colpire l’attenzione di chi guarda.
Questo immaginario fantastico ci stupisce e ci fa domandare: a chi si ispirò Bosch? Quale fu il suo maestro? Dovendo procedere per ipotesi, l’idea più semplice e logica è che si sia formato con il padre pittore che probabilmente seppe dare al figlio un’istruzione adatta. Nell’indagare le fonti di Bosch spesso però ci si dimentica dei Bestiari, una particolare categoria di libri con brevi descrizioni di animali reali e immaginari, e dei manoscritti miniati con scenette maliziose che sicuramente sono i precursori del mondo fantastico dell’artista. Altra fonte probabilmente è data dai maestri tagliapietre che usavano decorare i capitelli delle colonne delle cattedrali con facce e figure grottesche. E dopotutto la stessa città natale di Bosch è dotata di una bella cattedrale.

Per quanto riguarda la tecnica pittorica Hieronymus, si colloca in una categoria a parte: l’artista infatti nelle sue opere rifiuta i dettagli e i volumi plastici. La sua è un’esecuzione piatta, a due dimensioni, molto più grafica che pittorica, forse proprio ispirata alle illustrazioni miniate dei codici manoscritti. L’artista dedicava la massima attenzione al disegno preliminare, tracciato sullo sfondo bianco delle sue opere, su cui stendeva strati trasparenti e successivi di colore. Fu uno dei primi artisti a fare disegni come lavori indipendenti e non preparatori per altre opere. Un gran numero dei dipinti di Bosch sono realizzati su tela, ma la sua opera forse più importante è su tavola.

Il trittico del Giardino delle delizie, ha suscitato nel corso della storia dell’arte e suscita ancora oggi stupore e ammirazione. Sul rovescio delle ante è raffigurata la creazione del mondo, con una visione di potente poesia. Gli elementi si separano in un globo emergente dall’oscuro nulla. Aperto, il trittico presenta, tra il Paradiso e l’Inferno, il Giardino di delizie. Paesaggio fantastico, magico intreccio di corpi nudi, certe volte associati a coppie, altre volte contrapposti in gruppi e accompagnati da enormi forme vegetali e animali insoliti. La maggioranza dei dipinti di Bosch raffigurano soggetti della tradizione cristiana, ma altri trattano tematiche morali, e spesso illustrano l’avarizia e la credulità dell’uomo in modo originale.
Tra le opere più belle dell’artista possiamo citare l’Ecce Homo di Francoforte in cui si fronteggiano Gesù e Pilato tra una folla di volti grotteschi. Il carro di fieno, ora al Museo del Prado di Madrid, che descrive la frenesia e il caos della vita quando viene guidata dalle passioni e dai vizi. O ancora la Nave dei folli, esposta al Museo del Louvre, ispirata dall’omonimo poema satirico. In altri dipinti Bosch ci ha descritto i sette peccati capitali, il diluvio, l’aldilà, la morte di un avaro, sempre con un orientamento guidato da un impegno morale. L’artista infatti voleva mostrare attraverso invenzioni e allegorie come doveva vivere un buon cristiano e a cosa potevano portare certe scelte sbagliate.

Una data certa che chiude la vita dell’artista è quella della sua morte che avvenne il 9 agosto 1516. Il funerale fu celebrato in forma solenne nella Cappella di Nostra Signora, appartenente alla Confraternita di cui il pittore faceva parte, all’interno della grande cattedrale di San Giovanni. Alla sua morte, la fama di Bosch era già diffusa lontano dalla sua città. Solo per fare qualche esempio pensiamo che in Spagna la regina Isabella possedeva tre suoi dipinti, e a Venezia il cardinal Domenico Grimani ne possedeva cinque. Attraverso le incisioni le sue opere si diffusero in tutta Europa, ma fu in Spagna che Bosch trovò i maggiori sostenitori. Filippo II fu il suo più grande collezionista tanto da tenere proprio un quadro dell’artista appeso nella sua camera da letto.
In Spagna il pittore continuò a essere ammirato anche quando altrove fu dimenticato. Solo nel XX secolo infatti si risvegliò l’interesse nei suoi confronti grazie al gruppo di artisti dell’avanguardia surrealista. In particolare Dalì e Mirò guardarono al pittore olandese come a un precursore. L’opera di Bosch è un esempio eccezionale nell’arte del suo tempo anche per il suo senso del mistero e la ricchezza d’invenzione iconografica. Nel corso dei secoli l’artista fu riconosciuto come creatore di diavolerie. Ancora oggi alle sue mostre il pubblico si accalca davanti ai dipinti di carattere fantastico, ignorando in pratica tutti gli altri.
Possiamo dire che il merito più grande di Bosch consiste nell’essere stato il primo a trasferire le scene infernali dalle pagine dei manoscritti ai grandi dipinti su tela o tavola, rendendole così accessibili alla gente comune. Il popolo infatti non leggeva e non studiava questi libri conservati nelle biblioteche. Quindi l’unico modo per mostrare ai fedeli queste scene era portarle nelle chiese, sugli altari e nelle cappelle. E ci possiamo immaginare le persone d’allora che, come davanti a un film dell’orrore, sbirciavano incuriosite, terrorizzate e allo stesso tempo deliziate. In fondo il grottesco e la caricatura hanno sempre attratto l’essere umano come una potente calamita.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui