
Questo dipinto è uno dei più importanti mai realizzati da Boccioni. La città che sale è un’opera compiuta nel 1910 di 200 x 290 cm prodotta con la tecnica dell’olio su tela. Ha un titolo che suona strano, perché associa alla città, l’azione del salire. Ma cosa vuol dire? Come può una città salire? C’è in effetti un significato dietro questa rappresentazione caleidoscopica. L’artista in quegli anni era come una spugna e assorbiva tutte le novità e i fermenti della sua epoca.
Un’epoca che venne contraddistinta da importanti cambiamenti socioculturali e il lavoro fu uno dei campi che subì maggiormente queste rivoluzioni.
Erano cambiati i ritmi e le modalità di produzione, era cambiata la classe operaia che in fabbrica ci lavorava. Il proletariato assunse coscienza di sé e cominciò a comprendere il proprio potere nello stare unito per ottenere nuovi diritti. Esplosero così i primi scioperi italiani, che cominciarono a diventare fonte d’ispirazione per gli artisti. E infatti è proprio uno sciopero cittadino, in una città, Milano, che cominciava a crescere come le altre d’Europa che Boccioni prese come riferimento per realizzare questo dipinto.
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Anticipata da numerosi bozzetti, originariamente l’opera doveva intitolarsi Il lavoro e far parte di un trittico. Fu presentata per la prima volta alla Mostra d’arte libera di Milano del 1911. Nel 1912 venne comprata dal musicista Ferruccio Busoni, a Londra, durante la mostra d’opere futuriste che fece tappa in diverse città d’Europa. Oggi è esposta al Museum of Modern Art di New York.
È un’opera particolarmente importante perché costituisce la prima creazione futurista di Boccioni, nonostante ci siano ancora elementi realistici che riusciamo a distinguere nel groviglio pittorico, come le costruzioni industriali o il cantiere, il tutto inserito in uno spazio reso prospetticamente. La città che sale rappresenta un frammento di città in tumulto, in crescita e molto probabilmente si tratta della periferia di Milano.

In primo piano degli uomini tentano di trattenere dei cavalli imbizzarriti, disperatamente fusi in uno sforzo dinamico. Sullo sfondo, partendo da sinistra vediamo il tram elettrico, le impalcature di nuove strutture in costruzione, le ciminiere fumanti, una piccola folla, uomini che gridano, il tutto in un vortice pittorico costruito con direttrici di tensione dinamica. Nella composizione prevalgono le linee curve che descrivono il movimento vorticoso degli uomini e dei cavalli. Invece sullo sfondo le linee rette slanciano la città verso l’alto, oltre la tela. L’artista qui impiega la tecnica divisionista, che prevedeva appunto l’applicazione di colori puri, luminosi e brillanti divisi in tante piccole pennellate rapide e filamentose. Dominano la scena il rosso, il blu e il giallo, i tre colori primari, ma anche il bianco che conferisce al dipinto una luminosità abbagliante.
Il risultato crea un forte dinamismo da cui la scena è attraversata, come se potessimo percepire le scintille d’energia di movimento, di attrito e di resistenza. Fu lo stesso Boccioni, all’esposizione di Milano del 1911, a commentare il quadro. “Le linee di forza convogliano le energie del dipinto in molteplici direzioni, trascinando lo spettatore che sarà quindi obbligato a lottare anch’egli coi personaggi del quadro”. La metropoli moderna plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro, l’esaltazione del lavoro dell’uomo e il progresso furono tutti temi molto cari al futurismo. Quello però che allinea il quadro con lo spirito futurista è la celebrazione visiva della forza e del movimento, della quale sono protagonisti uomini e cavalli e non macchine. I cavalli impetuosi per esempio, spesso realizzati nell’opera di Boccioni, rappresentano la vitalità di una città in evoluzione e in fermento.

Ma qualcosa ne La città che sale non torna: dato che le architetture presenti sono frutto di un collage tutto mentale, esse presentano delle prospettive dissonanti. L’opera mostra infatti la ricerca di “una sintesi di quello che si ricorda e quello che si vede”, abbandonando parzialmente la visione naturalistica dei quadri precedenti da cui Boccioni era partito nel suo percorso di crescita artistica. L’artista in questo dipinto rende visibile il mito attraverso l’immagine, il mito dell’uomo moderno, artefice di un nuovo mondo. In parole povere l’intento dell’artista fu quello di fissare sulla tela il frutto del nostro tempo industriale. Il soggetto quindi, da rappresentazione di un normale istante di caos cittadino, si trasforma nella celebrazione dell’idea del progresso industriale con la sua inarrestabile avanzata, ben simboleggiato dal cavallo che viene inutilmente trattenuto dagli uomini attaccati alle sue briglie.
La città che sale è uno splendido esempio di unione d’avanguardie e movimenti che Boccioni realizza in un’unica opera. La tensione dinamica del divisionismo qui diventa dinamica futurista, la pittura figurativa diventa astratta. Sì, perché in fondo questo è anche un dipinto astratto, nonostante siano distinguibili delle figure e delle strutture. All’epoca di Boccioni si aprì proprio la strada, con le avanguardie storiche, che condusse gli artisti a nuovi modi di rappresentazione che andarono verso l’astrazione e la negazione delle forme. L’astrazione è resa possibile solo perché noi pensiamo attraverso cose vere e riconoscibili e questo ci dà modo di essere astratti, negando quelle stesse cose reali o utilizzandole in maniera del tutto inusuale.
In fondo noi riusciamo a essere astratti perché siamo veri.
Continua l’esplorazione
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui