
Quante volte Canaletto ha dipinto la Riva degli Schiavoni. In piccolo, in medio, in grande, a seconda delle disponibilità economiche dell’acquirente, che poteva essere, nobile, borghese, ambasciatore o console. Come il console Smith, collezionista e mercante di quadri e vedute, nonché mecenate dell’artista. Smith aveva trovato a Venezia la sua seconda patria e in laguna vi morì quasi novantenne. Ma il cliente interessato a una veduta come questa poteva anche essere un viaggiatore straniero del “Grand Tour” in Italia per ammirare le bellezze antiche e moderne dello stivale e che si porta via la tela come souvenir. E il successo di Canaletto sta anche nella sua capacità di dipingere splendide cartoline ricordo del viaggio in Italia, tanto amata dagli stranieri.
La Riva degli Schiavoni, conosciuta anche come Il Molo verso la Riva degli Schiavoni con la colonna di San Marco è comunque modello di un enorme numero di altri capolavori. Le barche e i personaggi a volte cambiano, e cambia anche il punto di vista catturato con la camera ottica. Il risultato però è sempre straordinario e perfetto. Il dipinto preso qui in considerazione fu realizzato da Canaletto nel 1730. Si tratta di un olio su tela delle dimensioni di 58 per 101 centimetri conservato nella collezione Egerton a Tatton Park in Gran Bretagna.
Altre versioni simili sono quella del 1740, conservata nella Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano oppure quella del 1745 circa, conservata alla Scottish National Gallery di Edimburgo. Canaletto con le sue vedute riprodotte più e più volte per i viaggiatori del “Grand Tour” creò tutti i presupposti per la nascita del souvenir. Una vera macchina di produzione di “cartoline” che potevano essere comodamente portate a casa per conservare un ricordo della splendida città lagunare. Venezia perse potere commerciale ed economico nel corso XVIII secolo, ma senz’altro acquisì un fascino ulteriore, decadente che in fondo ancora oggi la contraddistingue.

Soffermiamoci sui dettagli. Lo spazio è scandito dal cielo, dalle acque e dalla meraviglia di Venezia, fissati come in un’immagine ad alta definizione in cui non ci sfugge nessun particolare. Il verde della laguna che si riflette sul cielo, le imbarcazioni vicine e lontane, il chiacchiericcio delle persone sulla riva, il blocco roseo inondato dal sole di Palazzo Ducale, sulla sinistra. Vicino alla colonna di San Marco due preti dal cappello tondo stanno conversando, forse uno dei due è Antonio Vivaldi, compositore e violinista. Un gruppo di signori col cappello a tricorno fanno capannello, altri hanno la tipica parrucca bianca. Un cagnetto solitario e scodinzolante si aggira in primo piano vicino alla riva. Si tratta di un animale che ricorre spesso in molte altre opere di artisti veneti come Tiziano e Giorgione.

Le vesti settecentesche delle persone sulla riva sono tutte color pastello o grigio-marrone: Venezia non partecipa all’allegra policromia degli abiti di Parigi e di Londra. Anche le gondole sono rigorosamente tutte nere. Le ombre lunghe e il sole che illumina la riva ci fanno capire che la scena fissa la città in una mattina di vivace e laborioso fermento. La luce mattutina esalta i particolari architettonici del prezioso balcone quattrocentesco di Palazzo Ducale e gioca tra i candidi archi della loggia sopra il portico. La tela è un’istantanea di vita e di quotidianità che ci fa comprendere quanto poco sia cambiata Venezia in oltre trecento anni, da un punto di vista architettonico. Ma c’è di più: in questa come in molte altre opere di Canaletto abbiamo la sensazione della temperatura dell’aria, del suo grado di umidità, della leggera brezza che muove quest’aria.
Tutte sensazioni che nessuna fotografia moderna riesce a ridarci. Chi osserva una fotografia sa che di fotografia si tratta, ma chi guarda un’opera di Canaletto come questa e si sofferma con attenzione, avrà la sensazione di percepire la realtà concretamente. Il segreto sta nel dipingere con un tratto libero, semplificato che sarà poi rielaborato dalla mente di chi osserva, generando un’impressione di verità. Lo stesso approccio che utilizzerà Claude Monet oltre un secolo dopo che con Canaletto condivise il senso della luce e la semplicità del segno che la rappresenta. È quindi il cervello che
ricompone l’immagine, perché come ben sappiamo noi non vediamo con gli occhi ma con la mente. E tutto ciò ci restituisce un’immagine più vera dello scatto fotografico.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui