
Andy Warhol nacque il 6 agosto 1928 a Pittsburgh, in Pennsylvania, da genitori immigrati dall’odierna Slovacchia. Mostrò fin da giovane il suo talento artistico e studiò arte pubblicitaria nella sua città. Ottenuta la laurea nel 1949, decise subito di abbandonare l’aria provinciale di Pittsburgh per cercare fortuna a New York: era sicuro che la Grande Mela gli avrebbe concesso molte più possibilità per esprimere la sua creatività e più sbocchi lavorativi. Riuscì infatti a trovare un impiego presso riviste importanti come Vogue e Glamour.
Dopo aver ottenuto importanti contatti nell’ambiente, iniziò a dedicarsi a tempo pieno all’arte e fondò anche un suo personale studio per artisti, la famosa Factory.
Egli riuscì a portare nell’arte i meccanismi della società consumistica in cui viveva, un concetto che tornerà più volte nel corso della sua carriera artistica. A differenza degli artisti sensibili e immersi nella loro opera, gli autori della Pop Art sono volontariamente osservatori neutrali e distanti che propongono la realtà così com’è, indifferenti e oggettivi come una macchina.
L’artista, questo aristocratico decaduto, si pareggia con la condizione della persona comune che vive in città, interviene all’interno della sfera del consumo; si appropria, opera, manipola, cita, sfigura e trasfigura gli oggetti e le immagini ordinarie di tutti. La cultura popolare è facile e immediata, è fatta di simboli, marchi e oggetti che possono essere riconosciuti in meno di un secondo anche dal più distratto degli osservatori. Lo stesso Warhol era profondamente coinvolto dalla società consumistica e dai mass-media, come più volte raccontava.

Famosa la sua frase sulle città del mondo viste da turista: “La cosa più bella di Tokyo è McDonald’s. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s. La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. A Pechino e Mosca non c’è ancora niente di bello”. Secondo Andy Warhol l’arte doveva essere “consumata”, esattamente come qualsiasi altro prodotto commerciale. Ribadiva spesso che i prodotti di massa rappresentavano la democrazia sociale e come tali dovevano essere riconosciuti: anche il più povero degli americani beve la stessa Coca-cola che potrebbe bere Liz Taylor o John Kennedy. A tal proposito disse: “Una Coca è una Coca, e non ci sono soldi che valgano a farti avere una Coca-cola migliore di quella che si beve il barbone all’angolo”.
Durante la sua carriera, Andy Warhol ha spaziato tra svariate forme d’arte: fu regista di alcuni film sperimentali oggi divenuti dei cult, fu scultore di opere d’arte legate ai prodotti della cultura popolare come lo scatolame, fu anche musicista e collaborò con band importanti della scena rock newyorkese, come Velvet Underground & Nico per cui creò la famosa copertina con l’immagine della banana. Una delle opere più famose dell’artista statunitense è quella che rappresenta il volto immortale dell’attrice Marilyn Monroe. Lo stile è distintivo di Andy Warhol all’interno di questo genere artistico: un’immagine appartenente alla cultura popolare, riprodotta in serie a cui venivano aggiunti degli effetti di colore e ombreggiatura.

Nel corso degli anni ’80, artista richiestissimo da galleristi e musei, produsse dipinti di grandi dimensioni spesso rifacendosi a temi precedentemente sviluppati o a grandi maestri del passato come Leonardo, Botticelli, Munch, De Chirico. Protesse e incoraggiò giovani artisti come Basquiat e Francesco Clemente, con cui dipinse a quattro mani. Warhol morì nel febbraio del 1987 lasciando in studio i lavori The history on american TV. Sempre nell’87 si costituì la W Foundation for the Visual Arts e iniziarono le mostre retrospettive.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui