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Il Giudizio Universale, Michelangelo

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Il Giudizio Universale, Michelangelo
Michelangelo, Il Giudizio Universale
Un dettaglio del Giudizio Universale

L’ultimo progetto decorativo della Cappella Sistina fu intrapreso nel 1536, quando Michelangelo, ormai sessantenne, iniziò a dipingere il Giudizio Universale. L’artista si recò a Roma, per stabilirvisi fino alla morte, su invito di papa Clemente VII. Il papa nell’ultimo periodo del suo difficile pontificato, diede all’artista questo incarico, confermato dal successore Paolo III Farnese. Michelangelo tornò così alla pittura dopo più di vent’anni dalla realizzazione degli affreschi della volta della stessa cappella.

La grandiosa rappresentazione del Giudizio Universale lo impegnò dal 1536 al 1541, segnando un cambiamento rispetto alla tendenza decorativa degli affreschi della volta. Nel realizzare il monumentale dipinto di 200 metri quadrati, Michelangelo abbandonò lo schema utilizzato nella volta in cui architettura, pittura e scultura erano sintetizzati. Nel Giudizio Universale la sola architettura è quella dei corpi degli esseri umani, imponenti, eroici e impegnati in un movimento convulso e continuo.

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L’immensa parete della Sistina perde ogni consistenza strutturale e si apre in un cielo infinito. L’azzurro è intenso, privo di ogni riferimento spaziale, ma animato da una catena di impulsi dinamici inarrestabili. Le figure si addensano in gruppi tra loro estranei, ma allo stesso tempo uniti. Assistiamo a un movimento rotatorio, vorticoso, prodotto dall’ascensione, a sinistra, dei risorti, e dal precipitare, a destra, dei dannati. Al centro di tutto vediamo un Cristo terribile, vigoroso, quasi scultoreo. Lui con il gesto perentorio e potente del braccio destro sollevato, sembra comandare una sentenza eterna e inappellabile. L’assemblea di santi e patriarchi, apostoli e martiri si dispone intorno a questo Cristo Giudice severo. Di fronte a lui anche la stessa Madonna, alle sue spalle, sembra indietreggiare impaurita.

Fra i santi si riconoscono i maestosi Pietro e Paolo e, davanti a Cristo, sulla destra, san Bartolomeo con la pelle, simbolo del suo martirio, che nasconde un angoscioso autoritratto di Michelangelo. Nella raffigurazione della pelle scorticata e ormai senza vita si nasconde un pensiero che attraversa tutto il Giudizio Universale. L’anima sopravvive al corpo come l’opera d’arte sopravvive all’uomo. Nella fascia centrale sono rappresentati coloro che, dopo essere stati giudicati, ascendo al Cielo o cadono all’Inferno. In fondo all’affresco infuria una lotta scatenata tra diavoli e angeli che si contendono le anime. Appena sopra all’altare compare la barca di Caronte, che batte con il remo i dannati giunti all’Inferno. Al centro in basso un gruppo di angeli suonano le trombe per richiamare in vita i morti. L’arcangelo Michele, sulla sinistra, tiene un registro in cui sono scritti i nomi degli eletti.

Il Giudizio Universale
Michelangelo, il Giudizio Universale

Nel realizzare l’immensa scena del Giudizio Universale Michelangelo aumentò le dimensioni dei personaggi collocati nella parte alta dell’affresco. Usò questa licenza poetica non tanto per compensare la riduzione prospettica dal basso verso l’alto, quanto invece per sconvolgere la staticità degli equilibri e darci l’impressione che questa massa di corpi ci stia precipitando addosso. Questo senso di squilibrio e precarietà viene accentuato dall’estrema varietà degli atteggiamenti e del dinamismo delle singole figure. Abbiamo di fronte a noi un infinito campionario di posizioni e atteggiamenti che il corpo umano possa mai assumere, rappresentati secondo diversi e molteplici effetti di scorcio. Al corpo umano viene dato un ruolo fondamentale, alla sua nudità è attribuito un valore primordiale, eliminando ogni ricerca di perfezione formale.

Un collage di dettagli del Giudizio Universale

Michelangelo con il Giudizio Universale rinunciò anche alla ricca gamma di colori presenti sulla volta, usando solo due toni: il bruno dei corpi e l’azzurro del cielo, generando un’impressione di austerità. L’opera venne inaugurata nel 1541 alla vigilia del giorno di Ognissanti. Sia durante l’esecuzione, sia alla fine del lavoro le immagini suscitarono accuse di immoralità da parte di molte persone. La situazione, resa ancora più grave dal clima sviluppatosi con il Concilio di Trento e dalla conseguente Controriforma, portò alla copertura delle nudità dei personaggi, considerate oscene. Nel 1564 venne dato incarico a Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, di dipingere drappi sopra le parti intime delle figure. Da allora lo sventurato artista venne ricordato come il “Braghettone”, per le braghe che dovette realizzare.

Nel recente restauro compiuto sugli affreschi si è deciso di mantenere, come testimonianza storica, i ritocchi dell’allievo. Sono invece state rimossse tutte le aggiunte successive, per permettere di godere appieno della bellezza espressiva del Giudizio Universale. Questo straordinario affresco esprime una visione tragica della condizione e del destino dell’umanità, che non nasconde la propria paura di fronte all’ultima sentenza divina. L’opera si fa quindi perfetta interprete della tensione spirituale in quegli anni del Cinquecento. Anni di contrasto tra luterani e cattolici, riformatori e controriformatori. Anni di lotte religiose in cui più che mai si fece strada, tra gli animi sensibili come quello di Michelangelo, l’esigenza di un’unità e di una chiesa universale. Con quest’ultima impresa michelangiolesca si conclusero i cicli decorativi della Cappella Sistina. Ad oggi, al di là delle credenze religiose, resta un luogo magico dove pare che il sacro e l’inconoscibile prenda corpo e forma.

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C.C.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

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