
Winckelmann, il più importante teorico del neoclassicismo, affermò che le qualità principali che una statua deve racchiudere, per essere chiamata “opera d’arte”, sono movimento, calma e compostezza. Tutte qualità che ritroviamo nell’Ebe di Antonio Canova. Una scultura simbolo della giovinezza che passa. Raffigura una giovane donna mentre accenna un passo, lieve, quasi danzante. Le vesti sono mosse da un lieve vento che le sospinge all’indietro rivelando le forme di un corpo perfetto. Quella che vediamo qui è l’ultima di quattro sculture che Canova eseguì sullo stesso soggetto ed è conservata nella Pinacoteca civica di Forlì.
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Si tratta di Ebe, il corrispettivo femminile di Ganimede, coppiere degli dei nella mitologia classica. È un soggetto rarissimo da ritrovare nella storia dell’arte e quindi non conosce molti precedenti classici. Il tema, le dimensioni medie che vanno poco oltre il metro e mezzo di altezza e il dinamismo di quest’opera, la rendono molto adatta a decorare la sala da pranzo di collezionisti e nobili mecenati. Canova scolpisce e colora il marmo con tocchi di rosso sulle labbra e sulle guance e con una patina dorata mista a cera sulle parti nude che così contrastano con le vesti bianche. Non solo, la coppa, l’anfora, la collana e il nastro che raccoglie i capelli di Ebe, sono tutti dettagli realizzati in bronzo dorato.
In questo modo Canova è molto fedele alle usanze classiche: le statue dell’antica Grecia erano colorate, come si tramanda dello stesso Prassitele e spesso avevano dettagli realizzati con altri materiali. Ma in questa giovane e bellissima Ebe, l’artista infonde una grazia e una purezza che raramente ritroviamo in arte. La materia inerte diventa morbida carne, diventa viva. Qui il detto “freddo come il marmo” non è mai stato più sbagliato, perché sentiamo calore, percepiamo movimento e palpito vitale. Un movimento e una grazia che incarnano la bellezza ideale.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui