Nella storia della natura morta, genere al quale spesso ritorno per piacere personale, c’è un momento cruciale d’evoluzione verso la modernità. Un momento legato a un artista che ha introdotto la modernità dell’arte occidentale: Giotto. Ed è un momento segnato da i due coretti dipinti nella cappella degli Scrovegni a Padova. Siamo nei primi anni del Trecento, un momento di trasformazione e cambiamento nella storia dell’arte e anche nella natura morta. I due coretti dipinti nella cappella degli Scrovegni sono dei riquadri dipinti che cercano di dare l’illusione di uno spazio che non c’è. La vista è dal basso verso l’alto e scorgiamo una balaustra in muratura e parti superiori di due cappelle con volta a crociera, ovvero una specie di X.
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Al centro delle volte pendono due lanterne in ferro battuto, dietro le quali sono collocate delle alte finestre gotiche chiamate “bifore”, perché divise in due da un un elemento centrale. Ma l’illusione non si ferma qui. Giotto sceglie di decorare le pareti dei finti coretti con delle riquadrature monocrome. Insomma siamo di fronte a uno dei primi e forse il primo vero trompe-l’oeil moderno. Certo è vero che la prospettiva non è ancora molto precisa, ma qui la pittura, dopo molti secoli, tenta di riprodurre fedelmente la realtà. Tenta di ingannare lo spettatore.
Lo spazio riconquistato
Grazie a questi due semplici coretti, che quasi passano in secondo piano rispetto alla maestosità della cappella Scrovegni, l’artista riconquista lo spazio. Giotto anche nel campo della natura morta ha aperto la strada verso la modernità.
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Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui
C.C.