
Il 2019 è l’anniversario di Rembrandt, 350 anni dalla morte. Lo vorrei ricordare attraverso un tema che l’artista olandese riprende varie volte: La cena in Emmaus. Quella di Parigi del 1628 al Musée Jacquemart-André e quella del Louvre del 1648. L’episodio è raccontato nel Vangelo di Luca. Un breve accenno è necessario per capire come è stato affrontato. Ciò che Rembrandt ha voluto trasmettere. Due discepoli si stanno recando da Gerusalemme al villaggio di Emmaus. Gesù si unisce a loro ma non lo riconoscono:
Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.
L’opera del 1628
Che cosa vediamo nella piccola tavola del 1628? Un interno con una bisaccia appesa ad un chiodo. Una tavola e un pane sopra e i tre protagonisti: i due discepoli e lo sconosciuto compagno di viaggio. E lui che prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo distribuisce. A quel punto quella sorta di opacità corporale che copre gli occhi dei discepoli, cade e lo riconoscono. Ma Cristo sparisce dalla loro vista. Ed è proprio il momento che la grande arte di Rembrandt ha saputo cogliere. Andando oltre la pura descrizione del racconto. Servendosi dell’alternarsi di luci e ombre, cattura l’istante eccezionale del riconoscimento.
Un improvviso bagliore proveniente dall’esterno illumina la scena notturna. E lo stupore attonito del discepolo in precario equilibrio sulla sedia. Sembra non credere a ciò che vede. Ma ciò che più ci coinvolge è l’aver reso visibile la trasfigurazione di Cristo che dalla corporeità passa alla trascendenza, divenendo un presente-assente, come ha scritto Gianfranco Ravasi. I discepoli passano dal misconoscere al riconoscere. Rembrandt ci rende partecipi dello sconvolgimento che si impadronisce dei due discepoli. Articolando il colore dell’ombra fino a trasformarlo in un elemento luminoso. Con la configurazione di un corpo che accenna ai lineamenti di un essere divino.

L’opera del 1648
Nella Cena del Louvre il misticismo e la trascendenza invadono ancora la scena anche se con minore intensità rispetto a prima. L’ambientazione si fa più verista. Più descrittiva. Con quel giovane che tiene in mano un vassoio con il cibo. Le immagini acquistano una monumentale corporeità. I personaggi: Cristo davanti ad una nicchia, al centro. Sta spezzando il pane su di un tavolo/altare coperto da una luminosa tovaglia bianca. E i discepoli ai due lati emergono dal fondo scuro. Anche in questo dipinto luci e ombre giocano un ruolo fondamentale. Tuttavia Rembrandt predilige la tonalità dorata che si impone sugli altri colori.
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Fausto Politino
Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.