
Safet Zec è nato nel 1943 a Rogatica, in Bosnia Erzegovina. Ha conosciuto lo sradicamento. La fuga dalla sua terra devastata dalla guerra civile negli anni Novanta. L’ottusa atrocità di quei due ragazzi, Admira e Boško, massacrati dai cecchini nell’assedio di Sarajevo del 1993. Non furono seppelliti per sette giorni e sette notti, perché lui era cristiano e lei musulmana. Oggi Zec vive a Venezia. Una serie di opere può essere vista fino al 31 ottobre 2019 nella chiesa veneziana di Santa Maria della Pietà.
In lui convivono la tensione civile, la condizione alienante del rifugiato. L’urlo incredulo contro ogni forma di violenza e la ricerca artistica di chi ha saputo guardare Michelangelo, Vermeer, Caravaggio, Tintoretto, Goya, Rembrandt, Francis Bacon e Lucien Freud. Di chi ha saputo riflettere sulla loro pittura, impossessandosi delle loro tecniche che gli hanno consentito l’originale impaginazione prospettica e compositiva dei dipinti che la critica più attenta gli riconosce.
Un impatto narrativo immediato
Il retroterra iconico, che sostiene le sue immagini strazianti, coinvolgenti, dirette, disperate, spasmodiche, consente all’osservatore quel residuo di controllo razionale, di distanza emotiva, per riflettere sull’umanità ferita nel profondo senza lasciarsi frantumare dall’emozione. La pittura di Zec ha un impatto narrativo immediato. Non ci sono schermate simboliche che chiedono impegnativi scavi interpretativi. Sono immagini che agiscono in profondità, nell’intimo dell’essere. Se ci sono simboli, sono d’immediata lettura Chi ha vissuto sulla propria pelle l’assurda violenza dell’uomo sul proprio simile. Di chi demonizza e disumanizza l’altro, non ricorre alle sovrastrutture concettuali qualche volta fine e a stesse. La sofferenza, quella vera, quella degli ultimi che hanno visto l’orrore in faccia, non chiede di essere rappresentata come fosse un’illustrazione. Ma di essere condivisa. Di essere oggetto di com-passione.

Soffermiamoci a guardare il quadro mani per il pane. E come ricevere un pugno nello stomaco. Magari qualcuno vi può leggere una certa enfasi. Nell’accentuata gestualità. Ma il messaggio arriva diretto. Coi i dorsi e le palme di quelle mani agonizzanti che si affastellano protese verso l’alto. Nell’attesa del sostentamento che sta per arrivare. Quel pane spezzato striato di sangue che dovrebbe garantire la salvezza. E non solo quella fisica.
La mostra
Safet Zec, chiesa di Santa Maria della Pietà, Venezia, fino al 31 ottobre 2019.
Fausto Politino
Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.