
Come molti artisti prima di lui Vincent van Gogh si è ritratto molte volte: esistono oltre 43 autoritratti del pittore, dipinti o disegnati, eseguiti in una decina di anni di lavoro. Ma fra tutti gli autoritratti forse quello conservato al museo d’Orsay è uno dei suoi più belli, se non addirittura il migliore. L’opera risale a un momento particolarmente difficile per Vincent: fu infatti realizzata nel settembre del 1888 al manicomio di Saint Remy, piccolo comune della Provenza. L’artista vi era ricoverato perché a seguito di una crisi di follia durata due mesi, tentò di uccidersi ingerendo i suoi colori. Van Gogh si guarda allo specchio senza compiacimento, forse perché realizzare il proprio ritratto è un gesto che può scatenare molte domande che possono andare a turbare l’identità di un’artista.
Fare un ritratto implica sempre scavare un po’ nell’anima della persona rappresentata, anche quando lo si fa su sé stessi. Proprio su questa tela Van Gogh scrisse al fratello Theo:
Noterai come l’espressione del mio viso sia più calma, sebbene a me pare che lo sguardo sia più instabile di prima.
E infatti la cosa che forse ci colpisce di più è l’occhiata allucinata che il pittore ci rivolge: i lineamenti sono duri ed emaciati, il suo sguardo, cerchiato di verde, sembra rigido e angosciato. L’artista si rappresentò a mezzo busto, vestito con la solita camicia da lavoro e una giacca azzurra sopra di essa. Dominano l’opera i toni del verde e del turchese a cui si contrappone in maniera complementare l’arancione fuoco che caratterizza barba e capelli.
Van Gogh scrisse così alla sorella: “Cerco una rassomiglianza più profonda di quella che raggiunge il fotografo”. In seguito al fratello:
Si dice, ed io ne sono fermamente convinto, che sia molto difficile conoscere sé stessi. Tuttavia, non è di certo più semplice fare il proprio ritratto. I ritratti dipinti da Rembrandt, hanno qualche cosa in più del vero, contengono una rivelazione.
L’artista ci appare fisso e immobile nel suo profondo disagio, ma notate le pennellate distribuite a onde e spirali nei capelli, nella barba del pittore e sullo sfondo: sono gli stessi arabeschi che troviamo in altri dipinti dello stesso periodo come ad esempio i Cipressi. Questo turbine di pennellate sono il chiaro segno della perdita di orientamento di Vincent a causa delle sue gravi crisi nervose.
Continua l’esplorazione …
Allora, ti è piaciuta l’opera? conoscevi già Vincent van Gogh? scrivimi le tue impressioni nei commenti.
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C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui