Thomas Couture, i romani della decadenza

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Thomas Couture, i romani della decadenza
Thomas Couture, i romani della decadenza

Le enormi dimensioni di questa tela di Thomas Couture ci confermano le altrettante grandi ambizioni dell’artista che impiegò tre anni per completare i romani della decadenza. L’autore desiderava provocare con il suo quadro un rinnovamento della pittura francese. Per raggiungere questo scopo, senza molta originalità, si voltò verso il passato, ai maestri dell’antica Grecia, del Rinascimento italiano e della scuola dei pittori fiamminghi. Il dipinto è un perfetto esempio d’eclettismo, un tipo d’arte che prendeva in prestito spunti da diversi periodi artistici e che avrebbe segnato il gusto nella seconda metà del XIX secolo. L’opera inoltre si inserisce all’interno della cosiddetta pittura storica che, all’epoca, era considerata il genere pittorico più nobile. Questo tipo di pittura cercava di fissare nella tela azioni umane del passato dalle quali poter ricavare un messaggio morale e il risultato è ben visibile in questi grandi romani decadenti.

Qui i nudi sono all’antica, ovvero conformi all’ideale di bellezza degli scultori greci. L’architettura si rifà alle opere di Veronese, pittore italiano della Repubblica di Venezia, e in particolare a quella che fa da sfondo alle Nozze di Cana. Domina il centro del quadro un banchetto gremito di persone, tutte contraddistinte dall’ubriachezza e dalla dissolutezza. Ormai totalmente ubriachi, i personaggi sono colti mentre continuano a bere e a ballare. In primo piano tre uomini non partecipano a questo festino. A sinistra un ragazzo dall’aria triste seduto su una colonna, a destra due ospiti stranieri che osservano disgustati la scena. Il tutto è inserito in un fondale classico con colonne e statue dei romani del passato, simbolo delle antiche virtù. Statue che sembrano condannare il degradante spettacolo che sono costretti a vedere.

Il messaggio di Thomas Couture contenuto nell’opera

Ma qual era il messaggio da comunicare? Ce lo spiega Couture che citò, nel catalogo del Salon del 1847, dove il quadro fu esposto, due versi del poeta romano Giovenale.

Più crudele della guerra, il vizio si è abbattuto su Roma e vendica l’universo dei vinti.

I Salon erano esposizioni periodiche di pittura e scultura che si svolgevano a Parigi e Couture colse l’occasione per rivolgersi con quest’opera alla società francese del suo tempo. Repubblicano e anticlericale criticò la decadenza morale che percorse la Francia durante la monarchia di luglio proclamata il 9 agosto 1830, dopo i moti rivoluzionari, i cui politici erano stati coinvolti in una serie di scandali. Ecco che il quadro diventa un’allegoria realista in cui vediamo, più che i romani, i francesi della decadenza.

C.C.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

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