
Scriveva Giorgio Vasari nelle sue Vite degli Artisti sul Parmigianino diciannovenne: “Poi gli venne il desiderio di vedere Roma, sentendovi uomini lodare grandemente le opere de’ maestri, specialmente di Raffaello e Michele Angelo, e raccontò il suo desiderio a’ suoi vecchi zii. Essi, vedendo nel desiderio nulla che non fosse lodevole, acconsentirono, ma dissero che sarebbe stato bene portare con sé qualcosa che gli facesse presentarsi agli artisti. E parve a Francesco buon consiglio, dipinse tre quadri, due piccoli e uno grandissimo. Oltre a questi, indagando un giorno nelle sottigliezze dell’arte, cominciò a disegnarsi come appariva in un bicchiere convesso da barbiere. Fece fare una palla di legno da un tornitore e divisa a metà et sopra ciò si mise a dipingere tutto ciò che vide nel vetro.
Siccome lo specchio allargava tutto ciò che era vicino e diminuiva ciò che era lontano, fece la mano un poco grande. Più simile a un angelo che a un uomo, il suo ritratto sulla palla sembrava una cosa divina, e l’opera complessivamente fu un felice successo, avendo tutta la lucentezza del vetro, con ogni riflesso e luce e ombra così veri, che nulla più poteva essere sperato dall’intelletto umano. Finito il ritratto, si partì accompagnato da uno zio per Roma. Come ebbe il cancelliere del papa veduto le pitture, presentò il giovane e lo zio a papa Clemente, il quale vedendo le opere fatte e Francesco sì giovane, rimase stupito, e con lui tutta la sua corte. E Sua Santità gli affidò l’incarico di imbiancare la sala del papa.”
Lo specchio convesso, tra illusione, magia e maestria
Vasari ci racconta quindi che, dopo il suo arrivo a Roma, il giovane artista diede il proprio autoritratto, dipinto su un pezzo di legno ricurvo, a papa Clemente VII per conquistare il grande mecenate e quindi eventuali commissioni. Per quanto di modesto formato e di colori sobri, l’idea è così geniale e molto ambiziosa. La confusione che genera quest’opera tra “specchio o immagine” ci colpisce per la sua modernità. Un piccolo dipinto di grande inganno e illusione. Lo specchio come immagine dell’animo, come oggetto attraverso il quale il riflesso visivo si dovrebbe trasformare in una corrispondente riflessione mentale, è un concetto molto vivo nell’antichità. Questo singolarissimo autoritratto però può essere considerato anche il mezzo più diretto per conoscere le proprie qualità di artista.
Lo specchio convesso, inoltre, assume una valenza magica come se, attraverso di esso, si mostrasse la propria anima. Famoso è del resto l’interesse del pittore nei confronti della magia e dell’alchimia, che Vasari tanto gli rimproverava. Dipingere un’immagine vista su uno specchio convesso vuol dire rifarsi a una pratica magica dell’arte divinatoria che utilizza lo specchio. Questo procedimento si basa sulla credenza secondo cui guardare qualcuno riflesso in uno specchio significa guardare nell’anima di chi si sta specchiando, andando oltre le semplici fattezze naturali. Lo specchio convesso acquista così un potere taumaturgico, perché mostra l’io nascosto del pittore, la sua interiorità.
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C.C.
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