Di Cimabue sappiamo relativamente poco. Fu Giorgio Vasari, scrivendo circa duecento anni dopo la morte dell’artista, a fornirci il maggior numero di informazioni sulla sua vita. Il suo vero nome è Cenni di Pepo e il soprannome Cimabue è probabilmente dovuto al suo temperamento ruvido. Vasari pose la biografia di Cimabue tra le primissime delle sue Vite e scrisse: “Fu Cimabue quasi prima cagione della rinnovazione della pittura”. Il Vasari lo considera quindi tra i primi nella lunga lista dei grandi pittori italiani che furono pionieri del passaggio dalla stilizzazione bizantina al realismo del rinascimento.
Le opere di questo artista non hanno una datazione precisa e la loro attribuzione è stata spesso oggetto di controversia. Tuttavia il grande impatto che ebbero sullo sviluppo dell’arte italiana è un fatto incontestabile. Cimabue è senza dubbio uno dei più importanti tra gli artisti primitivi italiani, anche se la sua scoperta è relativamente recente. Il suo interesse per la prospettiva e per l’uso degli elementi della cultura classica e dei valori drammatici ed emotivi gli permisero di guidare il passaggio dall’antica tradizione bizantina, in cui dominava la bidimensionalità, al naturalismo, che sarebbe stato proprio dell’epoca successiva.

Le crocifissioni di Cimabue
La più antica opera attribuita a Cimabue è un crocifisso che si trova nella Basilica di San Domenico ad Arezzo. La definizione dell’anatomia e della muscolatura è ancora piuttosto acerba, ma l’interesse dell’artista per il romanico è evidente nello sforzo di rendere in modo realistico le piatte forme monumentali. Un altro crocifisso, danneggiato dall’alluvione di Firenze del 1966, si trova nella Basilica di Santa Croce a Firenze. Mostra un forte approccio naturalistico alla pittura di figura con un’attenta riproduzione di muscoli, vene, ossa e tendini.

Cimabue riprese il soggetto della crocifissione in una serie di affreschi per la Basilica di San Francesco ad Assisi. Qui l’uso di una prospettiva illusionistica crea effetti architettonici tridimensionali, mentre i panneggi, finemente dipinti secondo i dettami della pittura classica, riprendono gli antichi modelli romani. Inoltre le scene sono intrise di un grande senso drammatico. Nel 1302 realizzò il mosaico absidale del Duomo di Pisa e ottenne l’incarico per il completamento di una pala d’altare. Morirà pochi mesi più tardi, senza portarla a termine. La sua fama fu presto oscurata da quella di Giotto, che viene tradizionalmente considerato suo discepolo.

Un aneddoto tramandato dell’artista fiorentino Lorenzo Ghiberti narra di come Cimabue, avendo visto Giotto disegnare una pecora, ne rimase talmente colpito da volerlo nella sua bottega. Ad oggi però resta solo un racconto di fantasia, suggestivo, ma senza nessuna prova che sia realmente accaduto. Una curiosità: Dante Alighieri fu contemporaneo di Cimabue e lo cita in molte delle sue opere, compreso il purgatorio. Secondo Dante, l’artista era così arrogante da smettere di lavorare a un dipinto se questo veniva criticato. Ancora Dante annota che, nonostante Cimabue fosse un artista di affermata reputazione, la sua fama fu oscurata da quella di colui che è passato alla storia come suo allievo, Giotto.
Fu Cimabue quasi prima cagione della rinnovazione della pittura
Giorgio Vasari
Continua l’esplorazione
– Cimabue ad Arezzo. Il Crocifisso restaurato https://amzn.to/3Dvo5r7
C.C.