
Oggi vi parlo di Melozzo degli Ambrosi detto anche Marco Ambrogi pittore forlivese del XV secolo (Forlì 1438-1494).
La sua prima formazione ci è sconosciuta. Si può solamente supporre che l’ambiente forlivese in un qualche modo lo influenzò. Inoltre, la suggestione delle opere paleocristiane e bizantine della vicina Ravenna potrebbe aver orientato la visione monumentale del giovane pittore, preparandolo ai primi rapporti con Piero della Francesca.
Trascorse la sua vita e la sua carriera tra Roma, Urbino, Loreto e Ancona. È stato supposto che nel ’64-65 collaborasse con Antoniazzo Romano alla decorazione della cappella Bessarione a Roma. Melozzo trascorse inoltre un certo periodo alla corte di Urbino, dove ebbe forse un ruolo importante nella progettazione dello Studiolo e dove ebbe occasione di accostarsi all’arte di Giusto di Gand e di Pedro Berruguete.
Così, un artista particolarmente vicino all’arte di Piero poté entrare in contatto con culture diverse, capaci di stimolarlo sia sul piano stilistico che tecnico. Nel 1478, evidentemente ormai al vertice della fama, è “pictor papalis”. È la fase cui corrispondono il grande, solenne affresco del Vaticano (Inaugurazione della biblioteca di Sisto IV, circa 1575-77), dove la sapiente prospettiva e la salda costruzione perseguono un effetto di grandiosità, e la decorazione dell’abside della basilica dei Santi Apostoli.

È purtroppo perso il frutto della collaborazione fra Melozzo e Antoniazzo Romano, attestata nel 1480-81 per lavori nella Biblioteca Segreta e nella Biblioteca Pontificia. Melozzo, di cui era nota la virtuosa spazialità bramantesca, partecipò con le sue maggiori opere all’elaborazione dello stile monumentale che si affermò con Piero e che condusse fino a Raffaello. Caratteri che emergono anche nelle due ultime grandi imprese decorative, eseguite in collaborazione con Palmezzano. La cupola della cappella del Tesoro a Loreto, dei primi anni Ottanta, e quella della cappella Feo a Forlí. In queste opere venne affidato un prodigioso effetto illusionistico alle grandiose figure dei profeti, seduti intorno al parapetto sotto una falsa volta a cassettoni.
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Melozzo seppe unire l’illusione prospettica, tipica di Mantegna, a figure monumentali restituite con colori tersi, simili a quelli usati da Piero della Francesca. La luce limpida della sua pittura ricorda quella dei “pittori di luce” fiorentini, come Domenico Veneziano e l’ultimo Beato Angelico. Fu il primo che applicò, con successo e su larga scala, lo scorcio dal basso, “l’arte del sotto in su, la più difficile e la più rigorosa”. Giorgio Vasari nel XVI secolo riconobbe le abilità prospettiche di questo artista e definì Melozzo: “un grandissimo prospettivo”.
Solo negli ultimi decenni si è riscoperto il valore di questo pittore e, anche se poche delle opere di Melozzo sono arrivate fino ai giorni nostri, sono comunque sufficienti per raccontarci la portata dei capolavori di questo grande artista e maestro della pittura quattrocentesca.
Continua l’esplorazione …
C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui